Vorrei presentare un libro importante,un libro che dovrebbe essere letto non solo dagli"addetti ai lavori" ma anche da tutti coloro che hanno la passione della musica : si tratta del testo di Nicola Montenz : "L'Armonia delle tenebre".Milano 2012 Ed.Archinto che reca come sottotitolo "Musica e politica nella Germania nazista.L'argomento può sembrare troppo specialistico ma in realtà esso coglie un nodo col quale dobbiamo fare i conti tutt'ora : anzi ora più di prima. E' il nodo del controllo della cultura da parte del potere che oggi giorno è saldamente nelle mani dell'oligarchia che domina la "società dello spettacolo" e del consumo nella quale viviamo. Questo processo è iniziato in modo "scientifico" proprio sotto il dominio nazista ed è uno delle tante eredità che esso ha lasciato.Non voglio ulteriormente dilungarmi perché affido la presentazione ad una bellissima recensione di Alberto Burgio che è quello che ha colto bene l'importanza del libro.
"Un buon esempio della pervasività del potere
nazista, le vicende occorse al mondo della musica nei dodici anni di vita del
«Reich millenario» sono da alcuni anni oggetto di attenzione da parte della
storiografia e anche – per ciò che riguarda la produzione dei musicisti finiti
nei Lager – di una musicologia meritoriamente impegnata nel recupero e nella
diffusione di un tesoro (circa quattromila partiture) ancora in larga parte
misconosciuto (si pensi all’attività svolta da Musikstrasse nell’ambito del
progetto «Musica concentrazionari»).
Quella ora offerta da Nicola Montenz è una
sintesi documentata e agevole (salvo la deplorevole assenza di un indice dei
nomi) di quanto, già a partire dai tardi anni Venti, accadde a compositori,
musicologi, direttori e interpreti più o meno celebri: della sorte, cioè,
toccata per un verso ai musicisti ebrei, particolarmente numerosi tra i grandi
artisti dell’epoca, esclusi dalle orchestre e dalle rappresentazioni, marchiati
come veicoli di «arte degenerata» e costretti all’esilio o deportati nei campi
di sterminio; e, per l’altro, agli «ariani» che ebbero modo di intraprendere
brillanti carriere nella misura in cui accettarono di porsi al servizio del
regime per nobilitarne l’immagine in patria e sul piano internazionale.
Se la ricostruzione non aggiunge nulla al noto,
ha nondimeno il pregio di ripercorrere con precisione ed equilibrio una storia
emblematica, non senza soffermarsi sui problemi rilevanti, anche sul terreno
morale, che già campeggiano sullo sfondo delle pagine del Doktor Faustus
e delle stesse Considerazioni manniane. E ha per ciò stesso il merito di
porre in evidenza la fatale ambivalenza della musica quale forma espressiva
aperta al dialogo con la violenza e con l’orrore.
Se il destino tragico dei perseguitati (spiccano
le figure di Bruno Walter e Otto Klemperer, di Schönberg, Weill e Krenek, e,
tra i deportati a Birkenau, quella, affascinante e misteriosa, della nipote di
Mahler, Alma Rosé) mostra l’abisso di feroce demenza sempre immanente all’odio
razzista, le multiformi esperienze di quanti scelsero di «allinearsi» alla
«politica culturale» del regime (e financo alle pratiche delatorie da esso
prescritte) documentano appieno il servile opportunismo di chi decise di
ignorarne i crimini pur di raggiungere fama e ricchezza (si pensi ad artisti del
calibro di Orff, Karajan e Böhm, celebrati anche nel dopoguerra), la
consapevole complicità dei musicisti conquistati all’ideologia nazista (come
Hans Pfitzner, Elly Ney e Wilhelm Backhaus) o la sciagurata illusione
(coltivata dagli «apolitici» Strauss e Furtwängler) di preservare incontaminato
il proprio universo di cultura e arte nel bel mezzo di una demoniaca orgia di
sangue.
Il fatto che vi fosse anche chi rifiutava di
prestarsi al gioco (come, tra altri, il violinista Josef Szigeti o il
sovrintendente Gustav Hartung, quando Goebbels chiese al primo di sostituire
l’«ebreo Hubermann» e alcuni membri del Parlamento dell’Assia ingiunsero al
secondo di cacciare dal teatro di Darmstadt gli ebrei e gli «inaffidabili»)
dimostra una volta di più che il paradigma del «terrore totalitario» non basta
per capire quanto avvenne nella Germania di Hitler, e rischia di funzionare
come un alibi per quanti acconsentirono e parteciparono."
Alberto Burgio dalla Rivista “Alfabeta2.it”
( a cura di Vito Nanni)
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