Si è aperta una campagna elettorale molto incerta all'insegna della confusione più totale: con una classe politica inadeguata( a dir poco) : uno dei dati che emergono con più chiarezza è il rinnovato attivismo della galassia di destra in cui brillano (si fa per dire) Casa Pound e Forza Nuova. E non si tratta soltanto di un attivismo elettorale normale ma si segnala un ritorno a forme di violenza "antiche" come l'aggressione fisica e le minacce di morte.Ultima in ordine di tempo è la lettera con due pallottole e una scritta inequivocabile (Ti ammazziamo) recapitata alla Sindaca di Empoli. A me pare che la reazione delle forze politiche e della società in generale sia del tutto inadeguata per cui vorrei far conoscere un intervento molto puntuale e preciso dei Wu Ming su questa questione espresso da un articolo che è apparso sul loro Blog "Giap". Credo che sia utile per riflettere meglio ( e agire).
Antifascismo e anticapitalismo nell’Italia di oggi. Note sul conflitto surrogato e quello vero
Wu
Ming 1
[Un’anticipazione
del capitolo 6 di Predappio Toxic Waste
Blues. Fa parte della terza e ultima puntata, che uscirà mercoledì 15
novembre, ma è leggibile autonomamente. Le
prime due puntate sono qui. Buona lettura.]
di Wu Ming 1
È orribile doversi occupare dei fascisti, di chi li
sdogana, di chi li corteggia, di chi ci beve lo spritz assieme. Si vivrebbe
meglio, senza tutti costoro, senza doverne scrivere. Negli anni scorsi, in
effetti, molti hanno proposto di ignorarli: non
ragioniam di lor ma guarda e passa, «non abbassiamoci al loro livello», «se
li contesti gli fai pubblicità» ecc. Una fallacia logica dietro l’altra, per
una linea di condotta nefasta.
«Non mi abbasso al loro livello». Come i bimbi che si
coprono gli occhi e credono che, così facendo, il mondo intorno scompaia.
Mentre non si ragionava di lor, i
fascisti suonavano il piffero e si tiravano dietro la gente.
Lasciando fare i fascisti — o addirittura isolando chi li contrastava, magari ripetendo,
senza capirla minimamente, una frase di
Pasolini sul «fascismo degli antifascisti» — si
è permesso loro di allargarsi e conquistare spazi.
Quanto alla «pubblicità», non gliel’hanno fatta i
contestatori. Al contrario, contestando i fascisti si è spesso riusciti a privarli di agibilità, tribune e
riflettori, a far saltare iniziative, anche a spingerli verso grottesche figure di
merda. Visibilità pure quella, certo, ma non
quella che si erano auspicati.
No,
a far loro pubblicità, ad amplificarne i messaggi a dismisura, a renderli glamorous
è stata la televisione, sono stati
i talk show. Quelli di tutte le reti,
ma soprattutto quelli de La 7, che negli ultimi anni è diventata un bivacco di
manipoli. Bivacco diurno e serale, ospitale e confortevole. A stendere il
tappeto sono stati i conduttori criptofascisti, ma anche quelli «democratici»,
che hanno accolto nei loro salotti duci e ducetti dell’ultradestra,
capicenturia del razzismo «civico» organizzato, führer del fascioleghismo, “dialogando” con loro, e mentre
“dialogavano”, ogni loro gesto, ogni mossetta, ogni espressione diceva: «Ammiratemi, guardate come sono aperto e
liberale, guardate fin dove mi spingo nel confronto democratico», e al
tempo stesso: « Non cambiate canale,
guardate che razza di freak vi sto mostrando, tra poco dirà qualcosa di
oltraggioso, s’alzerà un polverone, stasera faccio uno share della madonna, per commentare usate il solito hashtag».
Ma col tempo i freak sembrano sempre più
«normali», e i polveroni non s’alzano più ma
gravano sui discorsi e non vanno via, sono perenni, come cappe di
smog. Ospitare fascisti diviene consueto, la loro presenza si adagia nella
sfera dell’ordinario e così anche i loro discorsi sono potenzialmente
accettabili. Ovvero: criticabili, ma
legittimi.
E no, questo lugubre spettacolo non può
difendersi invocando il «diritto di cronaca», o l’«inchiesta». Se fossero
esistiti i talk-show
nei giorni del delitto Matteotti, avrebbero invitato Dumini
e diviso gli ospiti tra pro e “contro” l’omicidio. Non è «diritto di cronaca»,
non è giornalismo, è (absit iniuria)
teatro. E, da che mondo è mondo, quando a teatro lo spettacolo fa schifo, si
lanciano i pomodori. O peggio.
Amerigo Dumini |
Intanto, fuori da quei salotti, i camerati
aggrediscono, accoltellano, talvolta
uccidono. Centinaia di
aggressioni negli ultimi anni , e sono
solo quelle denunciate, quelle che hanno meritato perlomeno un trafiletto, un
titolo di giornale locale. Storie che nei talk-show non ci arrivano, e se
arrivano, passano fugacemente, in un “servizio”, poi si dà di nuovo la parola
al ducetto di turno, assiso in studio, per consentirgli di svicolare, cambiare
argomento, imporre la sua agenda.
Non contrastare i fascisti;
lasciarli parlare; citare una frase di Voltaire che Voltaire non ha mai
scritto… Una linea non solo nefasta, ma gretta, perché da privilegiati, da inabili alla solidarietà: molte persone,
infatti, non possono permettersi di
«ignorare» il fascismo, perché è il fascismo a non ignorarle, le va a cercare, le
colpisce. Soprattutto loro
vivrebbero meglio, senza i fascisti e i loro
reggimoccolo.
È orribile, è schifoso doversi occupare dei
fascisti. Non conosco nessuno che lo faccia volentieri. Se non ci fossero i fascisti, avremmo più tempo, più
concentrazione per affrontare altre urgenze. Urgenze enormi, mondiali: lo sconvolgimento climatico già
in corso, le siccità e carestie, la crisi idrica globale, l’esaurimento delle
risorse, la devastazione del territorio, le guerre e gli esodi che tutto questo
provocherà… Tutti disastri causati
dal capitalismo, il modo di produzione
più cieco, predatorio e di corto respiro che sia mai esistito sul pianeta.
Ma… è proprio questo il punto! Il fascismo è un
dispositivo che fabbrica a ciclo continuo falsi problemi — e false soluzioni a quei problemi, quindi false al quadrato. Il
fascismo è una «macchina mitologica» che produce bufale diversive, descrive
nemici fittizi, addita capri espiatori. Il fascismo intercetta pulsioni ed
energie — malcontento, voglia di
gridare, di ribellarsi, di organizzarsi, di fare cose insieme — e le incanala in conflitti surrogati,
sperperandole, dissipandole. Cos’altro sono le barricate contro l’arrivo in
paese di profughi (spesso minorenni), cos’altro sono le mobilitazioni contro la
«teoria del gender», il «Piano Kalergi», «le ONG», lo ius soli che avvierà
la «sostituzione etnica», i «35 euro al giorno agli
immigrati»? Cos’altro sono i demenziali complottismi su Soros (l’ebreo!) che
paga tutto e tutti, cos’è tutto questo, se non anticapitalismo deviato e aberrato?
Sempre attuale la massima di August Bebel: «L’antisemitismo è il
socialismo degli imbecilli». Il razzismo è l’anticapitalismo di chi è reso
imbecille dalla macchina mitologica fascista.
Il fascismo propaganda una falsa rivoluzione: blatera di
«mondialismo», di «poteri forti», di «plutocrazie», di oscuri complotti «là in
alto», ma — guardacaso — colpisce sempre in basso. Se la prende coi deboli, coi marginali, coi più sfruttati
e ricattabili, con le minoranze, i “disturbanti”, gli incollocabili, perché la
sua “rivoluzione” è un mascheramento della guerra tra poveri: guerra dei poveri
contro i più poveri, dei penultimi contro gli ultimi, del ceto medio pavido
d’impoverirsi contro il ceto medio già impoverito, e del ceto medio impoverito
contro la working class — che è sempre più multietnica e
meticcia, quindi a maggior ragione!
Il fascismo chiama a una guerra vicaria che
impedisca di combattere quella vera, la guerra dal basso verso l’alto. Era così nel 1919, è così adesso e
sarà così nel 2019, perché il fascismo serve a quello, da sempre, il sistema
capitalistico lo ha generato ad hoc. Il fascismo fu fondato (anche) da
ex-rivoluzionari che seppero usare il
linguaggio della rivoluzione per fare la controrivoluzione. La stessa parola
«fascio» fu rubata al movimento operaio.
Riempiendosi la bocca di “rivoluzione”, i fascisti distrussero
ogni organizzazione rivoluzionaria, uccidendone i membri o costringendoli
all’esilio, facendo piazza pulita per conto dei poteri costituiti. Parlando del
«popolo lavoratore» e ostentando pose “antiborghesi”, si fecero pagare dalla
grande borghesia per colpire, sovente uccidere, i rappresentanti dei
lavoratori. Cialtroni in ogni fibra del loro essere, continuarono a baloccarsi
con vuoti proclami “anticapitalistici”
anche molto dopo la presa del potere, a regime consolidato, quando il fascismo
era ormai la forma politica del capitalismo italiano e il braccio
politico di Confindustria. Lo ha raccontato nel
modo migliore non un marxista, ma un liberale, Ernesto Rossi,
nel suo classico I padroni del vapore. La
collaborazione fascismo-Confindustria durante
il ventennio (1955,
ripubblicato da Kaos nel 2001).
Il fascismo è un fascio
di false soluzioni a problemi veri falsificati. False soluzioni che
retroagiscono sui problemi veri, aggravandoli.
È necessario capire come funziona la macchina
mitologica fascista, sfatando gli equivoci che la circondano e smontando le
narrazioni tossiche che produce. Bisogna imparare a contrastarla sempre meglio,
per impedire o almeno rendere più difficile la cattura di energie conflittuali
e il loro dirottamento su lotte surrogate, lotte che separano il «noi» dal
«loro» in modi truffaldini e malati, lotte che dividono chi dovrebbe invece
unirsi, che fanno perdere tempo
prezioso.
Per quanto sia controintuitivo, non ci si può occupare al
meglio di cambiamento climatico, o di lotta alle grandi opere inutili, o di
lotte nel mondo del lavoro, se non ci si occupa anche del fascismo. Contrastare il fascismo non
è occuparsi di un diversivo, ma della macchina che
produce i diversivi, per distruggerla. Non può esserci anticapitalismo
senza antifascismo.
La querelle
su Predappio e l’eventuale museo del fascismo, con tutto il demerito dell’operazione e i demeriti
dei suoi propagandisti, ha il merito di
offrirci una sintesi di quasi tutti i clichés e gli elementi narratossici prodotti dalla macchina
mitologica. È un utilissimo “studio di caso”. Analizzandolo, si vede come le
fallacie logiche, le aporìe, i paralogismi tipici del discorso fascista
influenzino anche i discorsi di chi fascista non è, ma — ed è il minimo che si possa dire — ha tenuto la guardia bassa nei confronti
del «post-antifascismo».
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