Le dimensioni reali del problema
Appena eliminato
il segreto di stato sulle dichiarazioni rese da Schiavone alla Commissione
parlamentare i media hanno subito cercato di anestetizzarle, ridimensionando la
devastazione del territorio all’area delle Terre dei fuochi
(Casapesenna, Parete, Castel Volturno, Casal di Principe) e facendo sparire
come a giudizio del camorrista pentito in realtà quest’area comprendesse metà
dello stivale (dall’Abruzzo- Basso Lazio fino alla Sicilia), dove fino dagli
anni ’70 Camorra, Sacra Corona Unita, Ndrangheta e Mafia erano impegnati nello
sversamento condiviso dei rifiuti tossici.
Neppure il mare aveva potuto salvarsi e “una nave che trasportava
rifiuti tossici e scorie nucleari era stata fatta affondare fra la Campania e la Calabria”. Da solo il Casertano (riserva di caccia della
cosca Schiavone) aveva assorbito “milioni
e milioni di tonnellate” di solventi e scarti di lavorazioni industriali provenienti
da mezza Italia insieme ai fanghi nucleari tedeschi e soltanto dalla sistematica distruzione dell’area
di Casal di Principe negli anni 70-80 il
gruppo ricavava entrate mensili di almeno due miliardi di lire. Sarà stato
proprio l’eccesso di zelo che ha indotto
i comandi americani a raccomandare ai militari Usa di non utilizzare
l’acqua della Campania “neppure per
lavare i denti”? Oppure avevano in mano dati sconosciuti alla popolazione della
regione ?
Panorama delle attività esercitate
dal clan Schiavone
Ma la cosca
Schiavone non si limitava alla devastazione del territorio. Aveva in mano il
traffico di sigarette, di droga e di armi.
“In Albania – dice Schiavone - comandavamo noi, non Hoxa… si pagavano 5000
lire a cassa (armi e sigarette), 15000 a cassa per la scorta di motovedette
militari in acque internazionali, se si avvicinavano motovedette italiane”. Controllava
Procal, un consorzio che monopolizzava la produzione e la vendita del
calcestruzzo in tutta la
Campania e alla cui presidenza aveva designato un ex-generale
in pensione della Guardia di Finanza. Il fiore all’occhiello erano però i lavori
pubblici. A questo scopo il clan esercitava uno stretto controllo su tutti i
106 comuni della provincia di Caserta e sceglieva i sindaci “di qualunque
colore essi fossero”. L’accordo era “che
i lavori fino a 100 milioni li gestivano i comuni, oltre i Consorzi controllati
dal clan [In più ] c’era una tariffa del
5% sulle costruzioni e il 10% sulle strade, dove invece di 6 cm di asfalto ne venivano
messi 3 cm”.
Cercasi colpevole
Ristabilite le dimensioni del documento-Schiavone, si capisce
perché la Commissione
parlamentare avesse imposto il segreto di stato. Ufficialmente per evitare il
panico e una altrettanto paurosa crisi
economica, ma a veder meglio per coprire il segreto più segreto. La malavita
organizzata è soltanto il terminale di un lavoro sporco con ben altri mandanti
e committenti e la Campania
“felix” non è diventata “infelix” a causa della Camorra. Secondo Schiavone
erano a Milano le “grosse società che raccoglievano (e smistavano) i rifiuti …
e certamente se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza dei clan, questo
sistema non avrebbe potuto esistere”. La
devastazione del territorio e della pubblica salute parte dunque dalle esigenze
dei gruppi industriali di aggirare le
normative in materia di scarti di lavorazioni più o meno tossici per abbassare
i costi di produzione. Il meccanismo operativo comporta l’utilizzo di strutture
influenti e coperte (Schiavone fa il nome di Gelli), poi ci vogliono i politici
(la vicenda dell’Ilva di Taranto non è per niente casuale) e infine la stretta collaborazione
dell’apparato amministrativo (soltanto in quest’ultimo caso con rare quanto
eroiche eccezioni). Il fiume di denaro che affianca il fiume dei rifiuti
tossici non esclude piccoli riconoscimenti a livello locale e la creazione di
una platea più o meno ampia di beneficiati: dagli occupati a vario titolo
nell’opera di devastazione ai nuovi clienti della sanità pubblica o privata,
dalle consorterie elettorali al sistema mediatico stipendiato dalla politica,
senza trascurare gratifiche a gruppi e a circoli culturali. Tutti sapevano
quasi tutto, ma nessuno ha parlato . Non hanno fiatato le strutture pubbliche
all’uopo designate, le caserme dei carabinieri, il prete e neppure il medico di base che pure registrava gli
insoliti picchi di particolari patologie, a partire da quelle oncologiche.
La cura peggiore del
male e qualche prospettiva
Per affrontare il problema adesso si ricorre agli stessi
meccanismi rivelatisi inerti, quando non collusi nel disastro. C’è chi chiede
l’invio dell’esercito, si parla di screning e di bonifiche (magari affidate ad
imprese garantite da prestanome o da generali della finanza in pensione?). Non
mancano retate di manovalanza camorrista associate a confische di beni, che
comunque torneranno abbastanza presto nelle mani dei loro illegittimi
proprietari, mentre si aspetta fiduciosi che la notizia faccia posto nelle
cronache quotidiane a un ennesimo scandalo. Sebbene oscurato dai media, il fatto nuovo in questa storia è
stata però la contestazione del capo dello stato effettuata dalle mamme che
mostravano le foto dei figli uccisi dai tumori. E’ forse il segno che la
popolazione incomincia a non fidarsi più delle strutture istituzionali e vuol
farsi carico della difesa del territorio e della salute con altri strumenti? E
poi: ma davvero anche in altre parti dello stivale quello che mangiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che
respiriamo è sotto controllo? In più,
allargando ancora l’orizzonte, pare che il CO2 cinese stia viaggiando verso
l’America, ma è una certezza assoluta che la radioattività di Fukushima è già
arrivata sulle coste degli States.
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