Presentiamo qui di seguito l'articolo pubblicato dal Prof.Marco Albeltaro sul n°79 di "Passato e Presente"- gennaio-aprile 2010 Editore Franco Angeli. Ringraziamo molto il Prof. che ci ha concesso di pubblicare integralmente il suo scritto
L’Italia ha avuto nella sua recente storia politica, il primato di aver espresso il partito neofascista”più antico e durevole d’Europa”[1] il Movimento Sociale italiano. Questo primato però non è valso da stimolo agli studi sulle organizzazioni politiche dell’estrema destra. Se infatti altrove [2]fin dagli anni ’70 sono apparsi studi scientifici sui partiti neofascisti, in Italia si è dovuto attendere il 1989 per leggere una prima ricostruzione delle vicende del MSI dovuta a Pietro Ignazi [3].negli ultimi anni però la storiografia si è cimentata su questo argomento anche in ragione dello stimolo proveniente dall’ingresso di Alleanza Nazionale -nom de plume, per impiegare un’efficace formula di Franco Ferraresi, con cui il Msi si è riciclato nella Seconda Repubblica nella compagine governativa del 1994. Agli studi pionieristici ma isolati di Del Boca e Giovana, di Galli di Chiarini e Corsini, si sono andati sommando numerosi contributi che hanno strappato le vicende del neofascismo in Italia alla memorialistica nostalgica ed agiografica. Tra gli studi della metà degli anni ’90 spicca quello ricordato di Ferraresi che, pur non essendo focalizzato sulle vicende missine,dedicava ampio spazio al partito neofascista mettendone in relazione la storia col clima della strategia della tensione. Contributi di notevole spessore sono poi giunti da Giuseppe Parlato, che col suo “Fascisti senza Mussolini” offre uno studio serio sulla ripresa del fascismo all’indomani del colpo di Stato del 25 Luglio ’43,mettendo in luce, grazie all’impiego di una notevole mole di documenti, il ruolo dell’intelligence statunitense nella nascita del Msi in chiave anticomunista.[4]
Questi studi però non sono stati in grado di fare piazza pulita delle ricostruzioni mosse dalla malcelata volontà di rendere il fascismo e il neofascismo fenomeni “normali”,aventi libera cittadinanza in una repubblica democratica. Del resto l’ondata “revanscista”,per impiegare l’efficace categoria proposta da Angelo d’Orsi è uno dei grimaldelli impiegati per erodere dalle fondamenta l’edificio democratico[5].E proprio in una fase in cui la democrazia viene minata da atteggiamenti cesaristici quando non da un nuovo fascismo presentato sotto false spoglie liberali,la riabilitazione politica di esponenti saldamente legati al ventennio dittatoriale si fa più insistente e determinata. E’ sintomatico infatti che nell’ultimo periodo una particolare attenzione sia stata concessa ad una figura emblematica del neofascismo italiano come Giorgio Almirante. Un primo volumetto[6] uscito in occasione del ventesimo anniversario della morte del segretario missino, dovuto ad un politico della vecchia guardia,Franco Servello, e arricchito, se così si può dire, da un “saggio di Gennaro Malgieri su Pino Romualdi” aveva tracciato uno stralunato profilo politico di Almirante e del suo sodale Romualdi.Lo scopo dei due autori era quello di mostrare quanto oggi ci fosse bisogno delle idee di Almirante e Romualdi. I due neofascisti venivano infatti presentati come dei preveggenti di doti straordinarie, dei superuomini della politica che giganteggiavano in un panorama desolante .Il volume pubblicato sotto l’egida del comitato “Giorgio Almirante oggi” che annovera tra i suoi sostenitori Fini,, Ciarrapico, Tremaglia, Rita Dalla Chiesa e altre personalità, altro non è che un Pamphlet neofascista che addita come obiettivo alle tanto citate “giovani generazioni” la “Riforma della Repubblica” sognata dai due politici missini. E se un simile invito può ormai essere esposto senza vergogna e alla luce del sole in una Repubblica che nasce proprio dalla vittoria sulla dittatura fascista,un qualche problema di senso comune ci deve pur essere .Discorso non diverso si può fare per quella che si presenta come una vera e propria biografia di Almirante. Lo sforzo è dovuto a tale Vincenzo La Russa[7] “avvocato con studi a Roma e Milano- così recita il risvolto di copertina- e collaboratore della cattedra di storia contemporanea della prestigiosissima università Kore di Enna, che tra i suoi vanti ha quello di aver aperto per questo anno accademico (Settembre 2009) un importante corso per “revisore di autoveicoli”.La Russa è fratello,sia detto per incidens,dell’attuale ministro della Difesa del governo italiano e figlio di un notabile del Msi..Ciò che stupisce della biografia in questione è che l’autore sembra parlare di un’altra persona. Il lettore è preso continuamente dal dubbio di aver sbagliato libro e di aver fra le mani la storia di un uomo politico moderato e democratico. Come ha scritto Saverio Ferrari, anche per Almirante sarebbe stato assai difficile riconoscersi nel ritratto tratteggiato da La Russa.[8].L’Almirante che viene presentato in questo libretto- noioso e sciatto nello stile, oltre che infarcito di errori- non è infatti mai esistito. La costante della biografia è innanzitutto l’assunzione esplicita dell’idea che essere fascisti nella storia dell’Italia repubblicana fosse del tutto legittimo. L’orgogliosa rivendicazione da parte di Almirante dell’ideologia mussoliniana viene perciò presentata da La Russa come un tratto lodevole per il segretario missino e del suo partito che indefessi marciarono assediati dalla violenza comunista, per le difficili strade dell’Italia post 1945. E l’Italia di cui parla il biografo del segretario missino, anch’essa, non è mai esistita. In’Italia in cui i governi coprivano le angherie dei comunisti e perseguitavano i fascisti della corte del povero Almirante, un’Italia in cui sono gli” estremisti di sinistra” ad aggredire i fascisti sulla scalinata della Sapienza a Roma il 16 Marzo 1968 e non viceversa;[9] un’Italia in cui nutrire per tutta la vita- come rivendicava Almirante- affetto e stima per una nobile figura come Telesio Interlandi, fondatore e Direttore de “La Difesa della Razza”, era normale.
Le argomentazioni di La Russa impressionano. E appare in tutta la sua evidenza una volontà di nascondere fatti scomodi noti e provati oltre ad una quantità di errori macroscopici, nonché una serie di analisi prive di qualsiasi fondamento. Non una parola viene della sul ruolo dei servizi segreti americani nella nascita del Msi; dei costanti e stretti rapporti di Romualdi con essi (contatti che esistevano già prima della Liberazione e che consentirono a Romualdi di scampare alla fucilazione) così come dei benevoli finanziamenti che gli Usa concessero al nascente Msi in chiave anticomunista. La Russa si impegna non poco per mostrare come Almirante sia stato assertore della via pacifica al neofascismo e per fare ciò egli omette con disinvoltura il fatto che almeno fino agli anni ’80 Almirante fu un antidemocratico convinto, ansioso di preservare l’identità di un partito che chiaramente si richiamava all’eredità del regime; che negli anni ’70 non potè e non volle recidere i legami del suo partito con la galassia delle organizzazioni eversive di estrema destra che praticavano la violenza e il terrorismo; che in un comizio a Firenze (4 Giugno 1972) non si peritò di dichiarare: “” I nostri giovani devono prepararsi allo scontro frontale con i comunisti, e siccome una volta sono stato frainteso, e ora desidero evitarlo, voglio sottolineare che quando dico scontro frontale intendo dire scontro fisico”.Oppure l’intervista rilasciata a “Der Spiegel” due giorni prima della strage di Piazza Fontana dove egli non nascondeva che “le organizzazioni giovanili fasciste si preparano alla guerra civile[…] tutti i mezzi sono giustificati per combattere i comunisti[…] misure politiche e militari non sono più distinguibili[10]. Un vero apostolo della non violenza!
In poche righe La Russa liquida la strage di Piazza Fontana e la strategia della tensione che nell’Italia descritta nel suo libro pare non essere mai esistita. Il suo Almirante nulla ha a che fare con quello che fiancheggia gli autori della strage di Peteano, tentando di coprire e di aiutare a rimanere impuniti gli autori di un attentato che aveva ucciso tre carabinieri con un’autobomba, il 21 Maggio 1972. Attirati sul luogo da una telefonata anonima, i militari si erano avvicinati all’auto indicata loro nella chiamata,finendo travolti mortalmente dall’esplosione. Almirante finanziò con poco meno di 35.000 dollari l’autore della telefonata, Carlo Cicuttini, ex segretario di una sezione del Msi, per operarsi alle corde vocali in modo che la sua voce non fosse più riconoscibile dagli inquirenti. Il padre della repubblica missino fu indagato per favoreggiamento e si sottrasse al processo grazie all’immunità parlamentare, per essere poi salvato da un’amnistia.[11]
Ed è ancora Saverio Ferrari a notare come La Russa inventi la dinamica dell’uccisione del poliziotto Antonio Marino avvenuta a Milano il 12 Aprile 1973. La Russa afferma che il poliziotto sarebbe morto a causa di una bomba lanciata da due giovani fascisti, che sarebbe finita nel tascapane ove l’agente custodiva dei candelotti lacrimogeni che così esplosero uccidendolo (Pag.169). In realtà la dinamica fu tutt’altra e l’agente morì perché colpito in pieno petto dalla bomba lanciata dai manifestanti. Poco più avanti La Russa proprio non si contiene più ed esagera preso dalla foga, attribuendo la morte di Claudio Varalli, militante del “Movimento Lavoratori per il Socialismo”, ai soliti “Estremisti di sinistra” (Pag.173). L’assassino fu invece Antonio Braggion di Avanguardia Nazionale. Ma il lapsus si ripete poche righe più sotto, allorquando la morte del militante di Lotta Continua Alceste Campanileviene attribuita anch’essa all’”ambiente dell’estrema sinistra” di cui forse faceva parte l’assassino (reo confesso): tale Paolo bellini, ex avanguardista nazionale poi diventato sicario al soldo della criminalità organizzata[12].
Oltre agli errori e alle omissioni il volume fornisce analisi che paiono davvero stralunate. Almirante sembra capitato alla guida del Msi per caso. La Russa infatti non si perita di notare, come invece fece Almirante stesso nella sua “Storia del Msi scritta con Francesco Palamenghi Crispi,[13],che l’apporto al nuovo partito del Movimento Italiano di unità sociale, fondato dallo stesso Almirante, era già di per sé una bella ipoteca alla segreteria della nuova formazione politica, cui sarebbe effettivamente giunto nel 1947.
Lo stesso ruolo del Msi nella politica italiana degli anni della guerra fredda è completamente stravolto. Il Partito viene dipinto come isolato, continuamente assediato dalla violenza degli “estremisti di sinistra”, tenuto in disparte dai giochi di potere : che i voti del Msi siano stati determinanti per la formazione di molte amministrazioni locali importantie , in diverse occasioni, anche per la sopravvivenza dei governi centristi, appare un particolare del tutto trascurabile.
Questa esasperata volontà di fare di Almirante un santino e di raffigurare il Msi come un partito privo di qualsiasi spinta eversiva, pienamente collocato fra ai sostenitori della democrazia parlamentare, finisce spesso nel scadere nel comico,anzi nel tragicomico. La vita del segretario missino viene definita”esemplare”(pag.180); la sua generosità ha perfino dei tratti francescani: il grande uomo manda soldi alle vedove dei militanti e lo fa ddi nascosto:” Ma il denaro no era del Msi, era di Giorgio Almirante. Lo scoprirà, dopo la morte. La mogli Assunta” (pag160). Un uomo tormentato divorato dal rimorso per la morte di un militante colpito da una bottiglia indirizzata contro di lui (pag 158). Invece la celebre vicenda della firma apposta, in qualità di capo Gabinetto del ministro repubblichino Mezzasoma, in calce al bando del 17 maggio 1944 nel quale veniva indicata al fucilazione alla schiena come cura da somministrare a “sbandati e partigiani”, viene risolta con uan giravolta impressionante. La Russa attribuisce addirittura ad Almirante l’errore di aver dato troppo peso alla vicenda e allo scandalo che ne derivò e quindi si premura egli stesso di risolvere la questione una volta per tutte,con un tono sprezzante. Scrive l’autorevole biografo:
“Bastava, invece, dire quella che era,probabilmente,la verità: il proclama era uno dei tanti che venivano inviati da chi li emanava ( in questo caso da Graziani), al ministero della cultura popolare della Rsi perché dopo averli sottoscritti con la firma del capo di gabinetto del ministro fossero spediti alle prefetture. A loro volta i prefetti, ricevuto il proclama, provvedevano a stamparlo e a mandarlo ai comini per l’affissione. Tutto qui.”
Tutto qui? E sia.
Nella conclusione del volume, invece di provare a fare un bilancio dell’esperienza politica di Almirante, come ci si aspetterebbe vista la statura politica che gli si attribuisce, l’autore dipinge un quadretto suggestivo dei funerali del segretario missino: una grande folla sovrastata da nuvole le cui sagome ricordano Vittorio De Sica, Totò, Peppino De Filippo e poi- poteva mancare al funerale di un uomo così democratico?- ovviamente Mussolini. Verrebbe da chiedersi se Vincenzo La Russa abbia fatto uno strappo al proibizionismo tanto propagandato dal fratello Ignazio…
Una delle caratteristiche che più rendono inconsistenti oltre che ridicoli lavori come quello di La Russa è che essi si sforzano di mostrare come il Msi sia stato un partito con piena cittadinanza democratica. In realtà appare oramai assodato sul piano storiografico dai lavori di Ignazi, Ferraresi e Parlato, che il Msi si presentò per decenni sulla scena politica italiana con un chiaro scopo eversivo, non vergognandosi affatto di ispirarsi al fascismo mussoliniano. Solo negli anni ’80 il partito di Almirante iniziò un percorso dalla duplice valenza. Da un lato, per legittimarsi a divenire una forza di governo, attenuò l’estremismo e la verbosità sul piano istituzionale; dall’altro mantenne al proprio interno,in quello che potremmo definire “foro interno” dei militanti, uno schietto spirito aggressivamente e nostalgicamente fascista. Questo percorso però non ebbe esiti felici per l’evoluzione democratica italiana poiché condusse per la prima volta un partito neofascista, sebbene opportunamente imbellettato e incipriato, al governo del paese.
La biografia scritta dall’avvocato La Russa probabilmente – ce lo auguriamo- avrà pochi, pochissimi lettori. Ma su essa è stato utile, penso, perdere un poco di tempo perché è solo l’ultimo prodotto di una più ampia campagna volta a normalizzare il fascismo e a riscriverne la storia prendendo proprio Almirante come testa d’ariete per sfondare una protezione che per tanti anni ha,pur tra alterne vicende,resistito.
Di questa tendenza appaiono altri segnali.
“Gran parte delle figure che hanno inciso di più nella storia del ‘900 italiano sono molto discusse, per questo non serve precipitarsi per ottenere riconoscimenti formali. Piuttosto servono letture politiche e analisi serie. E non c’è dubbio che Almirante ,dopo gli anni del fascismo, ebbe un ruolo nel far evolvere compiutamente la nostra democrazia.”
Sono parole pronunciate, in un’intervista rilasciata a Paola di Caro e apparsa sul “Corriere della Sera” del 28 Maggio 2008 da Luciano Violante, autorevole esponente del Partito Democratico, l’uomo che nel presentarsi sullo scranno più alto di Montecitorio in un controverso discorso esortò i colleghi deputati della Repubblica nata dalla Resistenza a comprendere “ i motivi per cui migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto si schierarono dalla parte di Salò e non da quella dei diritti e delle libertà”[14].Violante rilasciava la sua intervista al “Corriere della Sera” poco prima di partecipare alla presentazione ufficiale della ponderosa raccolta dei discorsi parlamentari di Giorgio Almirante in cinque tomi curata da Gennaro Malgieri, giornalista di Alleanza Nazionale, già direttore del “Secolo d’Italia”, il maître à penser che ha definito Julius Evola uno “straordinario intellettuale”[15]: cinque tomi sigillati da una prefazione, che non poteva certo mancare, dell’attuale Presidente della Camera Gianfranco Fini
Il quale- è bene ricordarlo- si è sempre richiamato senza pentimenti all’eredità politica di Almirante e ha contribuito non poco a costruirne l’immagine edificante di “pacificatore” e “traghettatore” verso le sponde della democrazia.
Certo nella sua intervista Violante non si dimentica del passato di Almirante durante il regime fascista e la nefasta esperienza della Rsi. Ma è benevolo, comprensivo e ,soprattutto,pacato .” Beh, è vero che fu redattore della rivista “La Difesa della Razza”,peraltro non l’unico tra quelli che poi furono politici italiani anche di spicco, come è vero che ebbe un ruolo, anche se non di primissimo piano, nella Repubblica Sociale. Complessivamente la sua storia di quegli anni merita una pausa di riflessione”,soggiunge Violante.
“Una pausa di riflessione”? Segretario di redazione di una rivista fascista e razzista; membro attivo di uno stato illegittimo, fascista e al soldo dei nazisti… Ma perché mai, di grazia, sarebbe necessario prendersi una “pausa di riflessione”? Non vi sono forse sufficienti elementi per emettere un giudizio? E’ preferibile dire subito, senza “pausa”, che la storia assolve e condanna, “dà torto e ragione”, come canta De Gregori, e che Almirante è da condannare non per una pregiudiziale antipatia nei suoi confronti, ma perché nelle nostre orecchie echeggia ancora la domanda che pose Norberto Bobbio in un celebre dialogo con Renzo De Felice : e se avessero vinto loro? E se avesse vinto lui?
Violante non è l’unico a legittimare Almirante tra i padri della patria. E’ infatti usanza ormai assai diffusa l’intitolazione di strade, vie e piazze al segretario missino. L’ultimo caso a Castellamonte, in provincia di Torino, dove il sindaco Paolo Mascheroni ha dichiarato : “ ci sono vie in tutte le città dedicate ai comunisti, ai socialisti, non vedo che problema ci sia a intitolare un ponte al segretario di un partito riconosciuto da tutto l’arco costituzionale, cattolico e per bene”.[16] Cattolico, forse; per bene, dipende da come si intende questa espressione; ma anche riconosciuto da tutto l’arco costituzionale” pare un po’ troppo per un uomo politico contro cui nel Giugno 1972 la Procura di Milano, allora non ancora accusata di essere un covo di “toghe rosse”, chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere per il reato di ricostituzione del Partito Fascista.
In compenso altrove si scatena,proprio nel medesimo torno di tempo,una polemica contro l’intitolazione di una via a Palmiro Togliatti che non sarà stato cattolico, e nemmeno troppo per bene, ma che certamente contribuì all’edificazione democratica italiana con ben altro segno rispetto ad Almirante[17].
Il problema della toponomastica può apparire secondario rispetto ai binari su cui dovrebbe incardinarsi la “grande storia”.Ma in realtà non è così. In tempi normali e in luoghi normali del nostro mondo, le strade, le piazze, le vie , i ponti (anche quelli di Castellamonte)dovrebbero essere intitolati – chiedo indulgenza per la rozzezza- ai “buoni”. E’ infatti innegabile che il cittadino comune percepisca nell’intitolazione di un bene pubblico a un personaggio un postumo riconoscimento a qualche cosa di eroico, o almeno di positivo che il personaggio fece in vita. In questo modo,attraverso questa moda di intitolare selvaggiamente strade,piazze e vicoli a fascisti e neofascisti, si va a incidere pesantemente sul senso comune, riorientandolo. La normalizzazione del fascismo passa anche attraverso la toponomastica.
Se poi nella creazione di un senso comune anti-antifascista ci si mette anche la televisione il risultato pare assicurato. Fra le consuetudini invalse nel grande Barnum mediatico va ricordata infatti quella di invitare nelle trasmissioni della paccottiglia televisiva domenicale (seguitissime pare) la moglie del segretario missino “Donna” Assunta, per narrare quanto egli fosse un grande oratore, un amante focoso (proprio così), un marito tenero e come fosse prodigo di doni e di affetto. Nessuno però domanda mai alla vedova cosa ella pensi di alcune affermazioni del marito, come ad esempio quella del 1938, secondo cui il “razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l’Italia abbia mai tentato”[18].Oppure come mai un uomo così buono non ebbe tentennamenti nell’offrirsi volontario per partecipare alle spedizioni punitive contro i partigiani della Val d’Ossola. Oppure come mai un uomo che, come dice Violante,”ebbe un ruolo nel far evolvere compiutamente la nostra democrazia”, all’indomani del 25 Aprile 1945 si diede alla macchia rimanendo in clandestinità per più di un anno.
Sono questi i misteri che la grande pubblicistica, la televisione e la penna dei normalizzatori del fascismo non sveleranno mai. E quindi che fare?
Se il compito dell’intellettuale, e quello dello storico in particolare,è per riprendere la lezione gramsciana così come declinata da Said,[19]” dire la verità”, ci si dovrà in qualche modo attrezzare. Innanzitutto ribadendo colpo su colpo alle menzogne proferite dai mass-media profittando delle tribune disponibili o creandone di nuove. E poi perché no? ,con una sana forma di boicottaggio : se ci si rifiutasse tutti di pubblicare con case editrici che mandano in stampa paccottiglia come quella dell’”avvocato con studi a Roma e Milano” Vincenzo La Russa o dei Servello, Malgieri &c, non si farebbe forse “cosa buona e giusta”?
Questi studi però non sono stati in grado di fare piazza pulita delle ricostruzioni mosse dalla malcelata volontà di rendere il fascismo e il neofascismo fenomeni “normali”,aventi libera cittadinanza in una repubblica democratica. Del resto l’ondata “revanscista”,per impiegare l’efficace categoria proposta da Angelo d’Orsi è uno dei grimaldelli impiegati per erodere dalle fondamenta l’edificio democratico[5].E proprio in una fase in cui la democrazia viene minata da atteggiamenti cesaristici quando non da un nuovo fascismo presentato sotto false spoglie liberali,la riabilitazione politica di esponenti saldamente legati al ventennio dittatoriale si fa più insistente e determinata. E’ sintomatico infatti che nell’ultimo periodo una particolare attenzione sia stata concessa ad una figura emblematica del neofascismo italiano come Giorgio Almirante. Un primo volumetto[6] uscito in occasione del ventesimo anniversario della morte del segretario missino, dovuto ad un politico della vecchia guardia,Franco Servello, e arricchito, se così si può dire, da un “saggio di Gennaro Malgieri su Pino Romualdi” aveva tracciato uno stralunato profilo politico di Almirante e del suo sodale Romualdi.Lo scopo dei due autori era quello di mostrare quanto oggi ci fosse bisogno delle idee di Almirante e Romualdi. I due neofascisti venivano infatti presentati come dei preveggenti di doti straordinarie, dei superuomini della politica che giganteggiavano in un panorama desolante .Il volume pubblicato sotto l’egida del comitato “Giorgio Almirante oggi” che annovera tra i suoi sostenitori Fini,, Ciarrapico, Tremaglia, Rita Dalla Chiesa e altre personalità, altro non è che un Pamphlet neofascista che addita come obiettivo alle tanto citate “giovani generazioni” la “Riforma della Repubblica” sognata dai due politici missini. E se un simile invito può ormai essere esposto senza vergogna e alla luce del sole in una Repubblica che nasce proprio dalla vittoria sulla dittatura fascista,un qualche problema di senso comune ci deve pur essere .Discorso non diverso si può fare per quella che si presenta come una vera e propria biografia di Almirante. Lo sforzo è dovuto a tale Vincenzo La Russa[7] “avvocato con studi a Roma e Milano- così recita il risvolto di copertina- e collaboratore della cattedra di storia contemporanea della prestigiosissima università Kore di Enna, che tra i suoi vanti ha quello di aver aperto per questo anno accademico (Settembre 2009) un importante corso per “revisore di autoveicoli”.La Russa è fratello,sia detto per incidens,dell’attuale ministro della Difesa del governo italiano e figlio di un notabile del Msi..Ciò che stupisce della biografia in questione è che l’autore sembra parlare di un’altra persona. Il lettore è preso continuamente dal dubbio di aver sbagliato libro e di aver fra le mani la storia di un uomo politico moderato e democratico. Come ha scritto Saverio Ferrari, anche per Almirante sarebbe stato assai difficile riconoscersi nel ritratto tratteggiato da La Russa.[8].L’Almirante che viene presentato in questo libretto- noioso e sciatto nello stile, oltre che infarcito di errori- non è infatti mai esistito. La costante della biografia è innanzitutto l’assunzione esplicita dell’idea che essere fascisti nella storia dell’Italia repubblicana fosse del tutto legittimo. L’orgogliosa rivendicazione da parte di Almirante dell’ideologia mussoliniana viene perciò presentata da La Russa come un tratto lodevole per il segretario missino e del suo partito che indefessi marciarono assediati dalla violenza comunista, per le difficili strade dell’Italia post 1945. E l’Italia di cui parla il biografo del segretario missino, anch’essa, non è mai esistita. In’Italia in cui i governi coprivano le angherie dei comunisti e perseguitavano i fascisti della corte del povero Almirante, un’Italia in cui sono gli” estremisti di sinistra” ad aggredire i fascisti sulla scalinata della Sapienza a Roma il 16 Marzo 1968 e non viceversa;[9] un’Italia in cui nutrire per tutta la vita- come rivendicava Almirante- affetto e stima per una nobile figura come Telesio Interlandi, fondatore e Direttore de “La Difesa della Razza”, era normale.
Le argomentazioni di La Russa impressionano. E appare in tutta la sua evidenza una volontà di nascondere fatti scomodi noti e provati oltre ad una quantità di errori macroscopici, nonché una serie di analisi prive di qualsiasi fondamento. Non una parola viene della sul ruolo dei servizi segreti americani nella nascita del Msi; dei costanti e stretti rapporti di Romualdi con essi (contatti che esistevano già prima della Liberazione e che consentirono a Romualdi di scampare alla fucilazione) così come dei benevoli finanziamenti che gli Usa concessero al nascente Msi in chiave anticomunista. La Russa si impegna non poco per mostrare come Almirante sia stato assertore della via pacifica al neofascismo e per fare ciò egli omette con disinvoltura il fatto che almeno fino agli anni ’80 Almirante fu un antidemocratico convinto, ansioso di preservare l’identità di un partito che chiaramente si richiamava all’eredità del regime; che negli anni ’70 non potè e non volle recidere i legami del suo partito con la galassia delle organizzazioni eversive di estrema destra che praticavano la violenza e il terrorismo; che in un comizio a Firenze (4 Giugno 1972) non si peritò di dichiarare: “” I nostri giovani devono prepararsi allo scontro frontale con i comunisti, e siccome una volta sono stato frainteso, e ora desidero evitarlo, voglio sottolineare che quando dico scontro frontale intendo dire scontro fisico”.Oppure l’intervista rilasciata a “Der Spiegel” due giorni prima della strage di Piazza Fontana dove egli non nascondeva che “le organizzazioni giovanili fasciste si preparano alla guerra civile[…] tutti i mezzi sono giustificati per combattere i comunisti[…] misure politiche e militari non sono più distinguibili[10]. Un vero apostolo della non violenza!
In poche righe La Russa liquida la strage di Piazza Fontana e la strategia della tensione che nell’Italia descritta nel suo libro pare non essere mai esistita. Il suo Almirante nulla ha a che fare con quello che fiancheggia gli autori della strage di Peteano, tentando di coprire e di aiutare a rimanere impuniti gli autori di un attentato che aveva ucciso tre carabinieri con un’autobomba, il 21 Maggio 1972. Attirati sul luogo da una telefonata anonima, i militari si erano avvicinati all’auto indicata loro nella chiamata,finendo travolti mortalmente dall’esplosione. Almirante finanziò con poco meno di 35.000 dollari l’autore della telefonata, Carlo Cicuttini, ex segretario di una sezione del Msi, per operarsi alle corde vocali in modo che la sua voce non fosse più riconoscibile dagli inquirenti. Il padre della repubblica missino fu indagato per favoreggiamento e si sottrasse al processo grazie all’immunità parlamentare, per essere poi salvato da un’amnistia.[11]
Ed è ancora Saverio Ferrari a notare come La Russa inventi la dinamica dell’uccisione del poliziotto Antonio Marino avvenuta a Milano il 12 Aprile 1973. La Russa afferma che il poliziotto sarebbe morto a causa di una bomba lanciata da due giovani fascisti, che sarebbe finita nel tascapane ove l’agente custodiva dei candelotti lacrimogeni che così esplosero uccidendolo (Pag.169). In realtà la dinamica fu tutt’altra e l’agente morì perché colpito in pieno petto dalla bomba lanciata dai manifestanti. Poco più avanti La Russa proprio non si contiene più ed esagera preso dalla foga, attribuendo la morte di Claudio Varalli, militante del “Movimento Lavoratori per il Socialismo”, ai soliti “Estremisti di sinistra” (Pag.173). L’assassino fu invece Antonio Braggion di Avanguardia Nazionale. Ma il lapsus si ripete poche righe più sotto, allorquando la morte del militante di Lotta Continua Alceste Campanileviene attribuita anch’essa all’”ambiente dell’estrema sinistra” di cui forse faceva parte l’assassino (reo confesso): tale Paolo bellini, ex avanguardista nazionale poi diventato sicario al soldo della criminalità organizzata[12].
Oltre agli errori e alle omissioni il volume fornisce analisi che paiono davvero stralunate. Almirante sembra capitato alla guida del Msi per caso. La Russa infatti non si perita di notare, come invece fece Almirante stesso nella sua “Storia del Msi scritta con Francesco Palamenghi Crispi,[13],che l’apporto al nuovo partito del Movimento Italiano di unità sociale, fondato dallo stesso Almirante, era già di per sé una bella ipoteca alla segreteria della nuova formazione politica, cui sarebbe effettivamente giunto nel 1947.
Lo stesso ruolo del Msi nella politica italiana degli anni della guerra fredda è completamente stravolto. Il Partito viene dipinto come isolato, continuamente assediato dalla violenza degli “estremisti di sinistra”, tenuto in disparte dai giochi di potere : che i voti del Msi siano stati determinanti per la formazione di molte amministrazioni locali importantie , in diverse occasioni, anche per la sopravvivenza dei governi centristi, appare un particolare del tutto trascurabile.
Questa esasperata volontà di fare di Almirante un santino e di raffigurare il Msi come un partito privo di qualsiasi spinta eversiva, pienamente collocato fra ai sostenitori della democrazia parlamentare, finisce spesso nel scadere nel comico,anzi nel tragicomico. La vita del segretario missino viene definita”esemplare”(pag.180); la sua generosità ha perfino dei tratti francescani: il grande uomo manda soldi alle vedove dei militanti e lo fa ddi nascosto:” Ma il denaro no era del Msi, era di Giorgio Almirante. Lo scoprirà, dopo la morte. La mogli Assunta” (pag160). Un uomo tormentato divorato dal rimorso per la morte di un militante colpito da una bottiglia indirizzata contro di lui (pag 158). Invece la celebre vicenda della firma apposta, in qualità di capo Gabinetto del ministro repubblichino Mezzasoma, in calce al bando del 17 maggio 1944 nel quale veniva indicata al fucilazione alla schiena come cura da somministrare a “sbandati e partigiani”, viene risolta con uan giravolta impressionante. La Russa attribuisce addirittura ad Almirante l’errore di aver dato troppo peso alla vicenda e allo scandalo che ne derivò e quindi si premura egli stesso di risolvere la questione una volta per tutte,con un tono sprezzante. Scrive l’autorevole biografo:
“Bastava, invece, dire quella che era,probabilmente,la verità: il proclama era uno dei tanti che venivano inviati da chi li emanava ( in questo caso da Graziani), al ministero della cultura popolare della Rsi perché dopo averli sottoscritti con la firma del capo di gabinetto del ministro fossero spediti alle prefetture. A loro volta i prefetti, ricevuto il proclama, provvedevano a stamparlo e a mandarlo ai comini per l’affissione. Tutto qui.”
Tutto qui? E sia.
Nella conclusione del volume, invece di provare a fare un bilancio dell’esperienza politica di Almirante, come ci si aspetterebbe vista la statura politica che gli si attribuisce, l’autore dipinge un quadretto suggestivo dei funerali del segretario missino: una grande folla sovrastata da nuvole le cui sagome ricordano Vittorio De Sica, Totò, Peppino De Filippo e poi- poteva mancare al funerale di un uomo così democratico?- ovviamente Mussolini. Verrebbe da chiedersi se Vincenzo La Russa abbia fatto uno strappo al proibizionismo tanto propagandato dal fratello Ignazio…
Una delle caratteristiche che più rendono inconsistenti oltre che ridicoli lavori come quello di La Russa è che essi si sforzano di mostrare come il Msi sia stato un partito con piena cittadinanza democratica. In realtà appare oramai assodato sul piano storiografico dai lavori di Ignazi, Ferraresi e Parlato, che il Msi si presentò per decenni sulla scena politica italiana con un chiaro scopo eversivo, non vergognandosi affatto di ispirarsi al fascismo mussoliniano. Solo negli anni ’80 il partito di Almirante iniziò un percorso dalla duplice valenza. Da un lato, per legittimarsi a divenire una forza di governo, attenuò l’estremismo e la verbosità sul piano istituzionale; dall’altro mantenne al proprio interno,in quello che potremmo definire “foro interno” dei militanti, uno schietto spirito aggressivamente e nostalgicamente fascista. Questo percorso però non ebbe esiti felici per l’evoluzione democratica italiana poiché condusse per la prima volta un partito neofascista, sebbene opportunamente imbellettato e incipriato, al governo del paese.
La biografia scritta dall’avvocato La Russa probabilmente – ce lo auguriamo- avrà pochi, pochissimi lettori. Ma su essa è stato utile, penso, perdere un poco di tempo perché è solo l’ultimo prodotto di una più ampia campagna volta a normalizzare il fascismo e a riscriverne la storia prendendo proprio Almirante come testa d’ariete per sfondare una protezione che per tanti anni ha,pur tra alterne vicende,resistito.
Di questa tendenza appaiono altri segnali.
“Gran parte delle figure che hanno inciso di più nella storia del ‘900 italiano sono molto discusse, per questo non serve precipitarsi per ottenere riconoscimenti formali. Piuttosto servono letture politiche e analisi serie. E non c’è dubbio che Almirante ,dopo gli anni del fascismo, ebbe un ruolo nel far evolvere compiutamente la nostra democrazia.”
Sono parole pronunciate, in un’intervista rilasciata a Paola di Caro e apparsa sul “Corriere della Sera” del 28 Maggio 2008 da Luciano Violante, autorevole esponente del Partito Democratico, l’uomo che nel presentarsi sullo scranno più alto di Montecitorio in un controverso discorso esortò i colleghi deputati della Repubblica nata dalla Resistenza a comprendere “ i motivi per cui migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto si schierarono dalla parte di Salò e non da quella dei diritti e delle libertà”[14].Violante rilasciava la sua intervista al “Corriere della Sera” poco prima di partecipare alla presentazione ufficiale della ponderosa raccolta dei discorsi parlamentari di Giorgio Almirante in cinque tomi curata da Gennaro Malgieri, giornalista di Alleanza Nazionale, già direttore del “Secolo d’Italia”, il maître à penser che ha definito Julius Evola uno “straordinario intellettuale”[15]: cinque tomi sigillati da una prefazione, che non poteva certo mancare, dell’attuale Presidente della Camera Gianfranco Fini
Il quale- è bene ricordarlo- si è sempre richiamato senza pentimenti all’eredità politica di Almirante e ha contribuito non poco a costruirne l’immagine edificante di “pacificatore” e “traghettatore” verso le sponde della democrazia.
Certo nella sua intervista Violante non si dimentica del passato di Almirante durante il regime fascista e la nefasta esperienza della Rsi. Ma è benevolo, comprensivo e ,soprattutto,pacato .” Beh, è vero che fu redattore della rivista “La Difesa della Razza”,peraltro non l’unico tra quelli che poi furono politici italiani anche di spicco, come è vero che ebbe un ruolo, anche se non di primissimo piano, nella Repubblica Sociale. Complessivamente la sua storia di quegli anni merita una pausa di riflessione”,soggiunge Violante.
“Una pausa di riflessione”? Segretario di redazione di una rivista fascista e razzista; membro attivo di uno stato illegittimo, fascista e al soldo dei nazisti… Ma perché mai, di grazia, sarebbe necessario prendersi una “pausa di riflessione”? Non vi sono forse sufficienti elementi per emettere un giudizio? E’ preferibile dire subito, senza “pausa”, che la storia assolve e condanna, “dà torto e ragione”, come canta De Gregori, e che Almirante è da condannare non per una pregiudiziale antipatia nei suoi confronti, ma perché nelle nostre orecchie echeggia ancora la domanda che pose Norberto Bobbio in un celebre dialogo con Renzo De Felice : e se avessero vinto loro? E se avesse vinto lui?
Violante non è l’unico a legittimare Almirante tra i padri della patria. E’ infatti usanza ormai assai diffusa l’intitolazione di strade, vie e piazze al segretario missino. L’ultimo caso a Castellamonte, in provincia di Torino, dove il sindaco Paolo Mascheroni ha dichiarato : “ ci sono vie in tutte le città dedicate ai comunisti, ai socialisti, non vedo che problema ci sia a intitolare un ponte al segretario di un partito riconosciuto da tutto l’arco costituzionale, cattolico e per bene”.[16] Cattolico, forse; per bene, dipende da come si intende questa espressione; ma anche riconosciuto da tutto l’arco costituzionale” pare un po’ troppo per un uomo politico contro cui nel Giugno 1972 la Procura di Milano, allora non ancora accusata di essere un covo di “toghe rosse”, chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere per il reato di ricostituzione del Partito Fascista.
In compenso altrove si scatena,proprio nel medesimo torno di tempo,una polemica contro l’intitolazione di una via a Palmiro Togliatti che non sarà stato cattolico, e nemmeno troppo per bene, ma che certamente contribuì all’edificazione democratica italiana con ben altro segno rispetto ad Almirante[17].
Il problema della toponomastica può apparire secondario rispetto ai binari su cui dovrebbe incardinarsi la “grande storia”.Ma in realtà non è così. In tempi normali e in luoghi normali del nostro mondo, le strade, le piazze, le vie , i ponti (anche quelli di Castellamonte)dovrebbero essere intitolati – chiedo indulgenza per la rozzezza- ai “buoni”. E’ infatti innegabile che il cittadino comune percepisca nell’intitolazione di un bene pubblico a un personaggio un postumo riconoscimento a qualche cosa di eroico, o almeno di positivo che il personaggio fece in vita. In questo modo,attraverso questa moda di intitolare selvaggiamente strade,piazze e vicoli a fascisti e neofascisti, si va a incidere pesantemente sul senso comune, riorientandolo. La normalizzazione del fascismo passa anche attraverso la toponomastica.
Se poi nella creazione di un senso comune anti-antifascista ci si mette anche la televisione il risultato pare assicurato. Fra le consuetudini invalse nel grande Barnum mediatico va ricordata infatti quella di invitare nelle trasmissioni della paccottiglia televisiva domenicale (seguitissime pare) la moglie del segretario missino “Donna” Assunta, per narrare quanto egli fosse un grande oratore, un amante focoso (proprio così), un marito tenero e come fosse prodigo di doni e di affetto. Nessuno però domanda mai alla vedova cosa ella pensi di alcune affermazioni del marito, come ad esempio quella del 1938, secondo cui il “razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l’Italia abbia mai tentato”[18].Oppure come mai un uomo così buono non ebbe tentennamenti nell’offrirsi volontario per partecipare alle spedizioni punitive contro i partigiani della Val d’Ossola. Oppure come mai un uomo che, come dice Violante,”ebbe un ruolo nel far evolvere compiutamente la nostra democrazia”, all’indomani del 25 Aprile 1945 si diede alla macchia rimanendo in clandestinità per più di un anno.
Sono questi i misteri che la grande pubblicistica, la televisione e la penna dei normalizzatori del fascismo non sveleranno mai. E quindi che fare?
Se il compito dell’intellettuale, e quello dello storico in particolare,è per riprendere la lezione gramsciana così come declinata da Said,[19]” dire la verità”, ci si dovrà in qualche modo attrezzare. Innanzitutto ribadendo colpo su colpo alle menzogne proferite dai mass-media profittando delle tribune disponibili o creandone di nuove. E poi perché no? ,con una sana forma di boicottaggio : se ci si rifiutasse tutti di pubblicare con case editrici che mandano in stampa paccottiglia come quella dell’”avvocato con studi a Roma e Milano” Vincenzo La Russa o dei Servello, Malgieri &c, non si farebbe forse “cosa buona e giusta”?
Marco Albeltaro
[1] F. Ferraresi,Minacce alla democrazia.La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra.Feltrinelli,Milano 1995
[2] Cfr.ivi p.12
[3] P. Ignazi Il Polo escluso.profilo del Movimento sociale italiano,Bologna Il Mulino 1989
[4] G. Parlato Fascisti senza Mussolini. Le Origini del Neofascismo in Italia 1943-1948. Il Mulino, Bologna, 2006
[5] A. d’Orsi, il Diritto e il rovescio,Aragno,Torino 2006
[6] F. Servello Almirante Rubbertino, Soveria Mannelli 2008
[7] Vincenzo La Russa Giorgio Almirante.Da Mussolini a Fini,Mursia,Milano 2009
[8] S. Ferrari, Almirante “democratico” in camicia nera,”Il Manifesto” 20 Agosto 2009
[9] Cfr l’immagine nell’inserto fotografico del volume intitolata Roma 1968. Almirante viene aggredito da alcuni studenti dell’Università La Sapienza.
[10] Cit. in S. Ferrari, Almirante :”democratico” in camicia nera cit.
[11] Cfr. Franco Ferraresi, Minacce alla Democrazia cit.Pag.237
[12] Cfr. S. Ferrari, Almirante: “democratico” in Camicia nera cit.
[13] G. Almirante- F. Palamenghi Crispi, Il Movimento Sociale Italiano, Nuova Accademia Editrice, Milano 1958
[14] Discorso alla Camera dei deputati 10 Maggio 1996.Cfr I. Lazzeri, A dieci anni da Combat Film : i “ragazzi di Salò” in televisione,”Passato e presente”,22(2004),n°63,pp.67-74
[15] G.Malgieri, Modernità e Tradizione: Aspetti del pensiero evoliano, Settimo Sigillo,Roma 1987,pag.7
[16] La dichiarazione è riportata da F. Bertoglio, Castellamonte dice no al revisionismo, “Liberazione”, 3 Settembre 2009 la proposta è stata ritirata per le proteste dei cittadini
[17] Cfr. M. Albeltaro, Una strada per Togliatti e antiche presunte ambiguità, www.esserecomunisti.it. Si veda anche il dibattito sulla toponomastica ospitato da “Il Manifesto, 27 Ottobre 2009 Pp 2-3
[18] G. Almirante, Né con 98 né con 998, “La Difesa della Razza”,1 (1938),n°6 p.47
[19] Cfr. E.W.Said, Dire la verità. Gli Intellettuali e il potere, Feltrinelli, Milano 1995 e M. Albeltaro “Per la verità”. Appunti su storia, politica e protagonismo delle masse in Gramsci,Atti della giornata di studio (Camera dei Deputati, giugno 2007), Edizioni Nuova Cultura Taranto 2008,pp.53-62 e la bibliografia ivi indicata.
[2] Cfr.ivi p.12
[3] P. Ignazi Il Polo escluso.profilo del Movimento sociale italiano,Bologna Il Mulino 1989
[4] G. Parlato Fascisti senza Mussolini. Le Origini del Neofascismo in Italia 1943-1948. Il Mulino, Bologna, 2006
[5] A. d’Orsi, il Diritto e il rovescio,Aragno,Torino 2006
[6] F. Servello Almirante Rubbertino, Soveria Mannelli 2008
[7] Vincenzo La Russa Giorgio Almirante.Da Mussolini a Fini,Mursia,Milano 2009
[8] S. Ferrari, Almirante “democratico” in camicia nera,”Il Manifesto” 20 Agosto 2009
[9] Cfr l’immagine nell’inserto fotografico del volume intitolata Roma 1968. Almirante viene aggredito da alcuni studenti dell’Università La Sapienza.
[10] Cit. in S. Ferrari, Almirante :”democratico” in camicia nera cit.
[11] Cfr. Franco Ferraresi, Minacce alla Democrazia cit.Pag.237
[12] Cfr. S. Ferrari, Almirante: “democratico” in Camicia nera cit.
[13] G. Almirante- F. Palamenghi Crispi, Il Movimento Sociale Italiano, Nuova Accademia Editrice, Milano 1958
[14] Discorso alla Camera dei deputati 10 Maggio 1996.Cfr I. Lazzeri, A dieci anni da Combat Film : i “ragazzi di Salò” in televisione,”Passato e presente”,22(2004),n°63,pp.67-74
[15] G.Malgieri, Modernità e Tradizione: Aspetti del pensiero evoliano, Settimo Sigillo,Roma 1987,pag.7
[16] La dichiarazione è riportata da F. Bertoglio, Castellamonte dice no al revisionismo, “Liberazione”, 3 Settembre 2009 la proposta è stata ritirata per le proteste dei cittadini
[17] Cfr. M. Albeltaro, Una strada per Togliatti e antiche presunte ambiguità, www.esserecomunisti.it. Si veda anche il dibattito sulla toponomastica ospitato da “Il Manifesto, 27 Ottobre 2009 Pp 2-3
[18] G. Almirante, Né con 98 né con 998, “La Difesa della Razza”,1 (1938),n°6 p.47
[19] Cfr. E.W.Said, Dire la verità. Gli Intellettuali e il potere, Feltrinelli, Milano 1995 e M. Albeltaro “Per la verità”. Appunti su storia, politica e protagonismo delle masse in Gramsci,Atti della giornata di studio (Camera dei Deputati, giugno 2007), Edizioni Nuova Cultura Taranto 2008,pp.53-62 e la bibliografia ivi indicata.
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