La fortunata e,nel tempo anche abusata dizione “Società dello spettacolo” è originariamente il titolo di un libro che il più importante tra gli intellettuali situazionisti, Guy Debord, pubblica nel Novembre 1967, proprio alla vigilia dell’esplosione del movimento del sessantotto. Debord aveva fondato nel 1957 l’Internazionale Situazionista e dal 1958 al 1969 pubblicò la rivista “Internationale Situationiste”. L’organizzazione si sciolse nel 1972 dopo aver subito diverse scissioni.
La “società dello spettacolo” è un libro straordinariamente anticipatore : infatti nel tempo in cui esso veniva pubblicato la trasformazione della politica e dell’intera vita sociale e culturale in una fantasmagoria spettacolare non aveva ancora conosciuto le dimensioni che avrebbe conosciuto alla fine del secolo e all’inizio del nuovo millennio. Parafrasando Marx, che descriveva la società moderna come un’immane raccolta di merci, Debord scriveva nel suo saggio “ Il capitalismo nella sua forma ultima si presenta come una immensa accumulazione di spettacoli, in cui tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”. Ma in che senso lo spettacolo diventa, nell’analisi di Debord il fenomeno centrale che caratterizza le società del tardo capitalismo? “Lo spettacolo- scrive Debord- non può essere inteso come un abuso del mondo visivo, prodotto dalle tecniche di diffusione massiva delle immagini[…]Lo spettacolo compreso nella sua totalità è,nello stesso tempo, il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, la sua decorazione sovrapposta. Lo spettacolo, insomma, lungi dall’essere un fenomeno specifico si colloca invece al centro del modo di produzione capitalistico. Non si tratta, infatti, di un prodotto particolare, di questo tipo singolare di merce che viene prodotto dall’industria culturale. Lo spettacolo nel tardo capitalismo coinvolge l’intera produzione sociale in quanto essa è sempre più intessuta di processi comunicativi: competenze linguistiche, immaginazione, sapere, cultura.
Lo spettacolo ha dunque una doppia natura : è per un verso un prodotto specifico che si affianca a tutti gli altri ma,al tempo stesso, rappresenta (nel senso più letterale del termine) la quintessenza del modo di produzione nel suo complesso. Lo spettacolo,come dice Debord “ è “l’esposizione generale della razionalità del sistema”. Nella merce-spettacolo il cui valore d’uso è linguistico culturale, sembra rispecchiarsi la qualità comunicativa della produzione capitalistica nel suo complesso.
Vent’anni dopo “La società dello spettacolo” nei “Commentari” pubblicati nel Maggio del 1988 Debord proseguiva la sua riflessione mettendo a fuoco quella che ,secondo lui, era la fase ulteriore che egli definiva come la “fase dello spettacolo integrato”. “Il senso ultimo dello spettacolo integrato –egli scriveva- è che esso si è integrato nella realtà a misura che ne parlava: e che la ricostruisce così come ne parla, in modo che essa non gli sta più di fronte come qualcosa di estraneo. Quando lo spettacolare era concentrato, la maggior parte della società periferica gli sfuggiva: quando era diffuso, gliene sfuggiva una piccola parte; oggi più nulla. Lo spettacolo si è mescolato a ogni realtà permeandola. Com’era prevedibile in teoria, l’esperienza pratica del compimento sfrenato della ragione mercantile mostra rapidamente e senza eccezioni, che il diventar-mondo della falsificazione era anche un diventar-falsificazione del mondo.”Nel frattempo, morto Debord, la critica della società dello spettacolo, così come della cultura -spettacolo e della politica-spettacolo, la si può ritrovare oggi sulla bocca di tutti, resa inoffensiva e spogliata della sua forza sovversiva. Per altro verso il pensiero postmoderno ha in qualche modo rovesciato la diagnosi pessimista dell’intellettuale situazionista, tessendo l’elogio disincantato di un mondo de-realizzato, ridotto senza residui a simulacro e fantasmagoria.
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