Vogliamo far conoscere a coloro che ci seguono un frammento del materiale conservato presso il nostro Archivio perché si tratta di un documento eccezionale : uno scritto inedito (allora Novembre 1968) di Bertolt Brecht una "Lettera ad un americano adulto" scritta nel 1946 a Santa Monica dove Brecht risiedeva dopo essere fuggito dall'Europa distrutta dalla seconda guerra mondiale.Questo documento è stato pubblicato nel n° 36 Anno VII dei Quaderni Piacentini ed è stato tradotto da uno dei maggiori germanisti, Cesare Cases,che introduce il testo sulla rivista. Detto questo sembra che l'unico interesse di questo scritto sia di tipo "archeologico" invece chi lo legge oggi non può altro che ammirarne la straordinaria attualità. Brecht già allora grazie al suo intuito, alla sua preparazione e al suo sguardo" laser" di critico della società fa un'analisi della realtà americana che è ancor oggi utilissimo, visto che il modello della società americana si è concretizzato nel nuovo millennio anche nella vecchia Europa che ne sembrava indenne.
Scoperte così nel nostro Archivio ce ne sono molte e faremo in modo di farvele conoscere in modo da invogliare chi legge a venire a visitarlo.
Bertolt Brecht
Lettere ad un americano adulto.
1.1 Dove Abito.
Quando
dico dove abito dico sempre “ a Santa Monica”, ciò è vero. Ma tutti ripetono “
Ah sì a Hollywood”.In realtà sono città diverse, distanti. Quindi mi affretto a
dire: “Non abbiamo scelto il posto,la nave di Vladivostok ci sbarcò qui,non
avevamo soldi,qui c’era qualche altro emigrato,ci fermammo. Certo qui abbiamo
una casa,ma solo perché le quote rateali d’acquisto sono meno care di quel che
sarebbe l’affitto altrove. Infatti la casa ha poco più di una stanza da bagno,
ed è quadrata, un ranch vecchio di cinquant’anni a due piani. Le ville
all’intorno sono costruite in stile americano o inglese o hanno torrette e
curve mai viste. La nostra casa ha sette stanze di cui due grandi, non è male e
il giardino è addirittura grazioso, abbastanza vecchio con fichi,limoni,
aranci, albicocchi, alberi del pepe e erba, vi sono addirittura angolini tra
capanne di legno, questi luoghi han l’aria di essere abitati da un pezzo.
Il
mondo ha fame ed è ridotto a rovine; come si fa a lamentarsi di stare qui? Non
vedevo alcuna possibilità di farlo,finché mi venne l’idea che queste graziose
ville sono costruite della stessa materia delle rovine di laggiù; come se lo
stesso brutto vento che ha sfasciato laggiù gli edifici, avesse fatto turbinare
sin qui un mucchio di polvere e di sudiciume trasformandolo in ville. Poiché è
un fatto: viviamo in una città infame.
E’
difficile da spiegare, spesso ho cominciato a farlo e poi ho rinunciato.
Naturalmente devono essere gli uomini a renderla così.
Per
cominciare dai vicini, gente modesta. Sono gentili e non ficcano il naso nelle
faccende altrui. Vedono una donna che tiene in ordine la casa e il giardino, un
uomo alla macchina da scrivere; quindi dicono alla polizia che chiede informazioni
su di noi, che siamo”hard working people” e che debbono lasciarci in pace. Prendono
fichi dal nostro giardino, ci portano focacce. E non hanno il temperamento
nevrotico represso dei piccoli borghesi tedeschi, né il loro servilismo e la
loro arroganza. Si muovono più liberamente, con più grazia, e non strillano.
Certo vi è in essi qualcosa di vacuo e di insignificante come nei personaggi
dei romanzieri superficiali e commerciali. Nelle scuole non si danno voti solo
in base alla diligenza e alle letture e all’intelligenza di un bambino, ma
anche in base al suo grado di popolarità. Difficile dire qualcosa in contrario:
forse sono solo io ad avere qualcosa in contrario, perché non sono mai stato
popolare né volevo esserlo. Se i bambini devono imparare ad adattarsi alla
società, si tratta di vedere a quale società. D’altra parte i giornali sono
pieni di conflitti violenti nei ceti inferiori: mariti che sparano alle mogli
infedeli, adolescenti che ammazzano a colpi d’accetta padri ubriachi che
picchiano le madri eccetera. E’ diverso che nelle classi superiori, dove questi
conflitti psicologici si esasperano in conflitti finanziari e si lotta per gli
alimenti. Eppure sia in alto che in basso si tratta di problemi che
costituiscono,per così dire equazioni con una sola incognita. La notizia di
cronaca di sette righe sembra già esauriente. Da quando siamo qui, le case
intorno alla nostra hanno già quasi tutte cambiato più volte proprietario. La gente cambia incessantemente
e apparentemente senza pensarci troppo, i propri posti di lavoro e persino i propri mestieri, e così
vanno a stare in quartieri o città più facili da raggiungere; alcuni attraversano anche più volte l’intero
continente. Così conoscono appena i propri alloggi non hanno né casa paterna né
patria. Non si formano amicizie, né inimicizie. Per quel che riguarda le
opinioni, le idee dei potenti regnano pressoché incontrastate. Il non essere
d’accordo viene comunemente considerato come pura ignoranza di ciò che è
universalmente approvato, come una pericolosa incapacità di adattarsi.
L’adattamento è una disciplina a parte: chi è più intelligente ci riesce
meglio, chi recalcitra è un problema per medici e psicologi. Per mantenere il
“Job”- è sempre incerto,non ci sono” sistemazioni per la vita” con diritti e
pensioni, nemmeno negli uffici governativi- occorre oltre alla qualificazione-
che non è molto importante, tutto è organizzato in modo da essere
intercambiabile, quindi a livello minimo- essere un “regular guy” cioè normale.
Questo lascia poche possibilità di caratteristiche personali. “Le possibilità
illimitate” cominciano a rivelarsi una favola, mentre” le crisi inevitabili”
suonano come una proposizione scientifica. E le crisi depredano la popolazione
di tutto. Conto in banca,casa, frigorifero e automobile devono essere
trasformati in cibo i bambini interrompono gli studi, si sciolgono i matrimoni.
Oltre alle grandi crisi generali, c’è la minaccia di quelle piccole,personali.
La malattia di un solo suo membro può spogliare la famiglia di tutti i suoi
risparmi e della maggior parte dei suoi piani per il futuro. In queste
circostanze i pregiudizi- mai sepolti, raramente ventilati, sempre puzzolenti-
di vasti strati contro i negri, gli ebrei e i messicani, hanno un significato
tenebroso. Scarso è l’influsso della popolazione assai male informata- i
giornali e la radio sono nelle mani di pochi milionari-, sulla storia del
paese. Le macchine politiche dominano le elezioni ed esse sono controllate dai
grandi interessi che vi sono investiti. La corruzione è gigantesca. Giornali
con dozzine di milioni di lettori accennano che il massimo funzionario della
nazione sarebbe stato”fatto da un gruppo di gangster”. Molti hanno la
sensazione che la democrazia è tale da poter scomparire da un momento
all’altro, pochi si azzardano a farsi un’immagine di quel che farebbe allora di
questo continente l’enorme brutalità che la lotta economica vi ha sviluppato.
La
grande insicurezza e dipendenza pervertono gli intellettuali e li rendono
superficiali,pavidi e cinici. Mentre rientra, per così dire, nel loro contratto
di assunzione che appaiano rilassati ( easy going), fiduciosi (cheerful) e
attendibili( mentually balanced) , ciò che riescono a fare fumando la
pipa,ficcandosi le mani in tasca ecc. Nel vecchio mondo continua a regnare la
grande finzione che gli intellettuali lavorino per qualcosa di più che il
compenso. I funzionari mantengono l’ordine, i medici guariscono, gli insegnanti
diffondono il sapere, gli artisti divertono, i tecnici producono;
“naturalmente” vengono compensati ma solo perché devono pur vivere. Il loro
lavoro ha un’importanza che va al di là di questo. Colossali istituzioni
sociali fanno almeno finta di non sottostare ad altro controllo al di fuori di
quello pubblico: le università, le scuole, le cliniche, le amministrazioni.
Invece qui le università sono apertamente controllate dagli uomini d’affari
anche quelle semi-statali; così pure le cliniche e i funzionari
dell’amministrazione ricevono assegni settimanali e dipendono dalle macchine
politiche. Così la gioventù è una generazione di giovani dei che da un giorno
all’altro si tramutano in schiavi. Le donne del ceto medio oltre la trentina e
senza conto in banca sono “failures”. Questa parola “Failure” è pressoché
intraducibile in una lingua di antica civilità. Significa”chi non ha successo”
e può essere il papà, la mamma, il maestro o il vicino o io. Lo stato d’animo
dei “failures” è anch’esso difficilmente traducibile. La parola che lo indica è
“frustration” e significa delusione, smacco prostrazione, senso di sconfitta.
Questo zitellaggio c’è per entrambi i sessi ed è un fatto sociale con
caratteristiche cliniche.
Non c’è
da meravigliarsi se qualcosa di ignobile, di indegno, di infame inerisce ad
ogni commercio tra uomo e uomo, e di qui sia passato a investire tutti gli
oggetti, le case, gli attrezzi e perfino il paesaggio. Un uomo che al mattino
presto legga in giardino un libro di Lucrezio sarebbe uno spettacolo insulso,
una donna che allatti il suo bambino alcunché di scipito. I grattacieli di
Manhattan visti al crepuscolo mozzano il fiato ma non possono far gonfiare il
petto. I macelli di Chicago, le centrali elettriche nei canyons, i campi petroliferi della California hanno
tutti questo qualcosa di compresso, di frustrato, tutti hanno l’aspetto di
failures. Dappertutto vi è questo odore della brutalità senza speranza, della
violenza senza appagamento. In cinque anni ho visto una volta sola qualcosa di
simile all’arte : lungo la costa di Santa Monica, davanti ai mille bagnanti, si
librava su sottili corde di fil di ferro simile ad un aquilone tirata da un
motoscafo un’esile squisita struttura dai colori delicati, la réclame di una
ditta di olio per la pelle.
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