I "padroni del vapore" di Ernesto Rossi uscì in prima edizione presso Laterza nel 1955 in tre mila copie subito esaurite ed in un'altra ristampa del febbraio successivo di duemila copie. Fu un testo che sollecitò parecchi interventi presso la pubblicistica dell'epoca anche perché, cosa strana per quei tempi fu trasmesso in televisione ed alla radio un dibattito sul libro appena uscito nelle librerie con lo stesso autore ed il presidente della Confindustria Angelo Costa, moderatore Ugo La Malfa.
Costa fu messo subito in difficoltà dalle precise considerazioni di Ernesto Rossi che chiamava in causa la responsabilità della classe imprenditoriale, accusata di avere uno scarso senso degli interessi nazionali e di aver avuto una corresponsabilità continuata con la dittatura fascista e la sua politica protezionista ed assistenzialistica, politica di cui avevano beneficiato, e per altro beneficiavano ancora nel secondo dopoguerra i magnati dell'industria. Alle strette, con stupore degli ascoltatori, il presidente della Confindustria ammise con semplicità che " Gli industriali italiani erano uomini come gli altri, con i loro pregi e le loro manchevolezze", ovviamente il pubblicista gli ricordò che "Ogni categoria sociale ha tanta maggiore responsabilità per tutto quello che avviene nella vita pubblica del proprio paese quanto maggiore è il suo potere". In una lettera a Laterza Rossi confidò di essere diventato più famoso della "lollo"in seguito al dibattito radio-televisivo , intendendo Gina Lollobrigida, attrice che in quegli anni era salita alla ribalta con numerosi film.
Dopo nove anni immerso nella ricerca presso gli archivi, Ernesto Rossi torna sul suo libro e ne prepara una nuova edizione. Il testo viene rivisitato e modificato in alcune parti dopo aver consultato le molte pubblicazioni di "schifosa propaganda della politica autarchica e corporativa di economisti" come Papi, Fanfani, quello che poi sarà leader della Democrazia Cristiana, Vito ecc., e dopo aver ricostruito il finanziamento del movimento fascista da parte dei "Grandi Baroni" della industria e della finanza già prima della marcia su Roma. Su questo tema nacque una polemica con De Felice che aveva già pubblicato il suo primo Tomo della monumentale opera sul Fascismo .(vedi "l'Astrolabio")
Un altro punto sviluppato nella nuova edizione è la riflessione sul trasformismo delle "grandi firme" giornalistiche fra le quali primeggiava Mario Missiroli , giornalista affermato sia durante il fascismo sia dopo, Presidente della stampa italiana e direttore del Messaggero di Roma negli anni sessanta e che rappresentava l'opportunismo di un cospicuo numero di intellettuali che avevano incensato la dittatura.
Ne "I padroni del vapore" è ricostruito il rapporto imprenditori-fascismo utilizzando come fonti documentarie i fascicoli dell'Ufficio Studi della Confindustria, gli Atti delle sedute parlamentari, i bilanci delle principali Società per azioni, con un'analisi che permette di evidenziare i limiti del ceto dirigente italiano che ha come orizzonte il proprio particolare.
Altri testi sulla quale si basano le considerazioni dell'autore sono i due volumi di Felice Guarneri, editi nel 1953,"Battaglie economiche fra le due guerre", responsabile dei servizi economici della Confindustria dal 1920 al 1935 e poi Ministro agli Scambi e alle Valute, di fatto un funzionario di primo piano del grande capitale. Ma, questa è una particolarità di molti dirigenti "tecnici" e giuristi, ritroviamo Guarneri nella repubblica del dopoguerra ricoprire numerose cariche importanti, Presidente dell'Istituto Fondiario Beni Stabili, Presidente delle Industrie Petrolifere e Chimiche, Presidente Fondiaria Mobiliare e Immobiliare, consigliere di amministrazione di numerose società tra cui la Edison,la Montedison, la Falk.
Questo aspetto, carriere prestigiose del fascismo che continuano ad affermarsi anche dopo il 1945 con la repubblica democratica, è una caratteristica che il lavoro di Rossi chiarisce ampiamente: dirigenti industriali, politici, economisti, giuristi presenti nell'età liberale in posizioni di rilievo, continuano ad avere una presenza attiva nell'establishment della dittatura ed ancora, nei limiti della loro età anagrafica, con un ruolo di primo piano nelle Università come nelle Industrie, nelle Banche o nei Ministeri come responsabili della "nuova politica economica" repubblicana.
Una dimostrazione pratica di come le "regole essenziali" che hanno caratterizzato l'evoluzione del capitale, della finanza e l'economia nell'età liberale ha convissuto pacificamente con il fascismo prima e con la democrazia dopo. Il sapere della cultura dominante ha percorso l'evoluzione delle forme politiche modulando il proprio intervento senza per questo perdere potere ed efficacia nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Un altro testo studiato da Rossi è "Dal taccuino di un borghese" (ed. del 1946 e del 1986 con il Mulino) di Ettore Conti, imprenditore, Alto Commissario armi e munizioni e aeronautiche nel 1919-1920, Senatore del Regno presidente della Confindustria dal 1918 al 1922, direttore della Banca Commerciale dal 1930 al 1945, consigliere Assicurazioni Generali, della Montecatini, direttore tecnico amministrativo della Edison, nella sua persona l'intreccio economico imprenditoriale, finanziario, politico e diplomatico che nel ventennio ha contribuito e sostenuto le politiche del regime.
Ernesto Rossi non è un marxista, ha come punto di riferimento l'economia anglosassone, per questo la sua opera vuole essere in primo luogo una denuncia, non moralistica ma politica, del pericolo che uno Stato corre quando si avvia un processo di concentrazione in poche mani del potere economico , mani che finanziano partiti e stampa, corrompendo politici ed alti burocrati e facendo leva su sentimenti nazionalistici. Ma vuole anche offrire elementi concreti per fare un bilancio dell'eredità del ventennio, dove "I Grandi Baroni" hanno rafforzato e conservato i loro patrimoni, hanno aumentato la loro influenza nelle scelte politiche economiche, hanno collocato uomini di fiducia nella Pubblica Amministrazione, mentre le gerarchie ecclesiastiche a partire dai Patti Lateranensi hanno accresciuto patrimoni e privilegi. E' interessante l'attenzione nei confronti della Pubblica Amministrazione dedicata dall'autore soprattutto sulla grande trasformazione che avviene dal 1922 in poi e che vede la presenza nei più alti gradi della burocrazia di funzionari incapaci e corrotti che hanno fatto carriera solo per la "sicura fede".
In una "combinazione" norme-burocrazie, dove leggi appropriate che restringevano la potenzialità economica di nuove imprese (es. RDL del 1926 n.413, che regolava la disciplina delle spa e RDL del 1927 n. 2107, che prescriveva l'obbligo per i centri urbani con più di centomila abitanti di aprire nuovi impianti industriali con più di cento operai solo dopo il preventivo permesso del Ministero dell'Economia) e dirigenti ministeriali, asserviti alla Confindustria riuscivano a cristallizzare l'economia del paese assicurando la formazione dei monopoli . Il Sindacato degli industriali attraverso i veti burocratici e l'ampio impianto normativo che il fascismo era riuscito a varare potevano così far quadrato nei confronti di eventuali concorrenti.
In una lettera al proprio editore, Rossi scriveva:"Giacchè facciamo questo lavoro, cerchiamo di farlo bene, in modo che possa veramente servire come raccolta e prima elaborazione di documenti allo storico del futuro", questa "prima elaborazione" di Rossi per lo storico futuro ricopre ancora un ruolo fondamentale nella ricostruzione economica politica della salita al potere del fascismo, del regime e del dopoguerra, perché ancora vi sono nel campo della ricerca numerose lacune da colmare, a partire dai nodi posti da Rossi prendiamo ad esempio il sodalizio che sin dall'inizio si attua fra la Confindustria e i fascisti:
Il fascismo garantisce già da subito insieme alle figure politiche conservatrici alcuni desiderata dei padroni del vapore. Infatti se ci soffermiamo sulle prime decisioni prese dal governo fasciste, non possiamo dimenticare che il 14 novembre del 1922, il consiglio su proposta di Mussolini approva un disegno di legge che di fatto chiude i lavori della "Commissione di inchiesta sulla guerra" istituita nel 1920 da Giolitti che era composta da 15 deputati e da 15 senatori. La Commissione doveva accertare oneri finanziari a carico dello Stato per le spese di guerra, procedere alla revisione delle commesse delle indennità, individuare ogni responsabilità morale, giuridica, amministrativa, politica; recuperare all'erario ciò che risultasse doversi recuperare cioè una parte considerevole "dei lucri indebiti od eccessivi". Nonostante l'ostruzionismo dei fornitori di materiale bellico e dei complici ministeriali la Commissione aveva fatto un ottimo lavoro decidendo il recupero di circa 320 milioni di lire dell'epoca come primo pacchetto di recupero, ovviamente la stampa "patriottica" respingeva l'accusa individuando nella Commissione un organo manovrato dai "rossi".
Eppure solo due anni prima Mussolini aveva tuonato sul "Popolo d'Italia" che sulle commesse di guerra dei "briganti che hanno perpetrato ruberie colossali. Noi crediamo che si possa recuperare centinaia e centinaia di milioni"(2/6/1920). Di fatto, in seguito Mussolini risarcisce la grande industria che gli ha spianato la strada del potere con l'affossamento di questo recupero, e sarà lo stesso "duce" ad ammetterlo il 19/7/1924 all'on. Begnasco che gli aveva presentato una commissione di operai fascisti di Torino (vedi "il Lavoro"): " Il Governo, attraverso il Ministero delle Finanze, ha favorito l'industria, fino a condonarle 300 milioni di lire di utili abusivi di guerra, ridotti ora a qualche decina di milioni che sono stati anche rateati in parecchi anni."
Fra i maggiori recuperi non avvenuti ci sono 46 milioni dell'Ansaldo ( i cui proprietari, i fratelli Perrone) avevano finanziato la marcia su Roma e 44 milioni dell'ILVA dove l'amministratore era Max Bondi.
Un altro benefit agli imprenditori da parte del nuovo regime fu il decreto del 29/11/1922 n.1478 che aveva abrogato la legge 474 che obbligava le società commerciali ad investire in titoli di Stato la terza parte delle loro riserve, il decreto fu firmato da Facta e pubblicato il 29/11/1922 ed ancora, il ddl del Tesoro e Finanza che abrogava la legge 24 del 1920 sulla obbligatorietà della conversione in nominativi dei titoli al portatore emessi dallo Stato, Provincia,Comuni e spa, legge voluta da Giolitti per bloccare l'evasione fiscale. Questa norma era fortemente osteggiata dai più grandi imprenditori se solo l'otto novembre del 1922 il Presidente della Confindustria, il Presidente della Lega degli industriali di Torino, Conti, Falk, Olivetti, Biancardi avevano chiesto la abolizione della nominatività estesa anche ai privati.
Non basta più per lo storico accertare la già documentata fase del finanziamento dei "Padroni del vapore" al movimento fascista, ma occorre indagare quanto abbia pesato per le scelte economiche e politiche del ventennio questo pesante rapporto fra la Confindustria e il ceto dirigente in camicia nera.
A dimostrare quanto, per puro tornaconto, il governo fascista fosse a conoscenza ed avesse accettato l'impianto invischiato che il padronato della Confindustria aveva costruito a suo totale beneficio è chiarito dalla presa di posizione di Mussolini del 1943 quando era a capo della Repubblica di Salò dopo aver "registrato" l'abbandono del sostegno al suo governo da parte di alcuni grandi imprenditori. Giuseppe Dolfin, segretario di Mussolini, inviò un dossier , nel dicembre del 1943, al capo della polizia:"D'ordine del Duce ti trasmetto l'accluso fascicolo che documenta attraverso quali sistemi di corruzione determinati noti industriali, fra i quali Volpi, Donegani ed altri, immobilizzassero ogni libertà d'azione sia di dirigenti sindacali che di alti funzionari dello Stato che venivano loro legati attraverso integrazioni vere e proprie di stipendi. E' desiderio Superiore [di Mussolini ] che venga compiuta una rigorosa inchiesta atta ad individuare le singole responsabilità che vanno perseguite a norma di legge. Una parte di questi industriali sono indiziati attualmente come finanziatori di partigiani".( Archivio Centrale dello Stato,Segreteria particolare del duce, carteggio riservato RSI, b.16,f. Volpi)
Come bene osserva Mimmo Franzinelli nella presentazione del libro di Rossi, " le notizie raccolte dai capi della Repubblica Sociale Italiana rivelano retrospettivamente l'esistenza di un collaudato sistemi di tangenti versate dalla Confindustria ad alti funzionari dello Stato".
Ci sono un altro paio di considerazioni che suscita il lavoro dell'autore, la prima riguarda le teorie corporative che sono presenti nel mondo accademico cattolico, già da molto tempo prima del fascismo. Le organizzazioni elefantiache legate al Ministero delle Corporazioni prive di reali risultati soddisfacenti, lasceranno il loro segno nella Pubblica Amministrazione anche dopo il 1945 , ed ancor di più l'impianto civilistico e penale dei codici preparati da Rocco ed i suoi collaboratori, che altro non sono che una summa appartenente alla cultura reazionaria del pensiero giuridico. La Repubblica italiana sorta dopo il fascismo, come mai ha mantenuto quell'impianto composto dai codici che hanno regolamentato ancora per decenni la vita democratica del paese?
L'immagine che ci hanno dato di Mussolini le analisi di storici, i numerosi documentari trasmessi in TV, i reportage giornalistici , tranne in pochi casi, sorvolano sulla economia e sull'influenza che questa ha avuto sulle decisioni politiche del ventennio, sulle reali condizioni sociali delle classi inferiori, ma "esaltano" più o meno "l'originalità" e lo spessore politico del movimento. Senza nulla togliere all'importanza di fare ricerche storiche che individuino le diversità e che specifichino in maniera documentata le vicende del passato, sarebbe interessante rivisitare i discorsi e gli articoli di Mussolini, in qualità di massimo esponente fascista, contestualizzandoli con quello che "realmente" è accaduto. Sotto lo smalto del decisionismo austero, pieno di ferme prese di posizioni e di disegni ben ponderati, forse scopriremmo un altro duce: un abile imbonitore e mediatore, ossequioso dei poteri forti, che ricatta e modifica le posizioni in poco tempo per seguire una propria sensibilità politica ed al tempo stesso un "capo" che ha la capacità di costruire attorno alla propria figura pubblica un'immagine irreale che suggestiona.
La freschezza e l'attualità dell'opera di Ernesto Rossi, antifascista, al confino con i migliori intellettuali, amico di Salvemini e Rosselli e grande giornalista e scrittore, sta nella capacità di indagare il passato senza farsi fuorviare dai pappagalli, come annota in una sua lettera, a lui interessava individuare e rilevare le malefatte del padrone del pappagallo.
Costa fu messo subito in difficoltà dalle precise considerazioni di Ernesto Rossi che chiamava in causa la responsabilità della classe imprenditoriale, accusata di avere uno scarso senso degli interessi nazionali e di aver avuto una corresponsabilità continuata con la dittatura fascista e la sua politica protezionista ed assistenzialistica, politica di cui avevano beneficiato, e per altro beneficiavano ancora nel secondo dopoguerra i magnati dell'industria. Alle strette, con stupore degli ascoltatori, il presidente della Confindustria ammise con semplicità che " Gli industriali italiani erano uomini come gli altri, con i loro pregi e le loro manchevolezze", ovviamente il pubblicista gli ricordò che "Ogni categoria sociale ha tanta maggiore responsabilità per tutto quello che avviene nella vita pubblica del proprio paese quanto maggiore è il suo potere". In una lettera a Laterza Rossi confidò di essere diventato più famoso della "lollo"in seguito al dibattito radio-televisivo , intendendo Gina Lollobrigida, attrice che in quegli anni era salita alla ribalta con numerosi film.
Dopo nove anni immerso nella ricerca presso gli archivi, Ernesto Rossi torna sul suo libro e ne prepara una nuova edizione. Il testo viene rivisitato e modificato in alcune parti dopo aver consultato le molte pubblicazioni di "schifosa propaganda della politica autarchica e corporativa di economisti" come Papi, Fanfani, quello che poi sarà leader della Democrazia Cristiana, Vito ecc., e dopo aver ricostruito il finanziamento del movimento fascista da parte dei "Grandi Baroni" della industria e della finanza già prima della marcia su Roma. Su questo tema nacque una polemica con De Felice che aveva già pubblicato il suo primo Tomo della monumentale opera sul Fascismo .(vedi "l'Astrolabio")
Un altro punto sviluppato nella nuova edizione è la riflessione sul trasformismo delle "grandi firme" giornalistiche fra le quali primeggiava Mario Missiroli , giornalista affermato sia durante il fascismo sia dopo, Presidente della stampa italiana e direttore del Messaggero di Roma negli anni sessanta e che rappresentava l'opportunismo di un cospicuo numero di intellettuali che avevano incensato la dittatura.
Ne "I padroni del vapore" è ricostruito il rapporto imprenditori-fascismo utilizzando come fonti documentarie i fascicoli dell'Ufficio Studi della Confindustria, gli Atti delle sedute parlamentari, i bilanci delle principali Società per azioni, con un'analisi che permette di evidenziare i limiti del ceto dirigente italiano che ha come orizzonte il proprio particolare.
Altri testi sulla quale si basano le considerazioni dell'autore sono i due volumi di Felice Guarneri, editi nel 1953,"Battaglie economiche fra le due guerre", responsabile dei servizi economici della Confindustria dal 1920 al 1935 e poi Ministro agli Scambi e alle Valute, di fatto un funzionario di primo piano del grande capitale. Ma, questa è una particolarità di molti dirigenti "tecnici" e giuristi, ritroviamo Guarneri nella repubblica del dopoguerra ricoprire numerose cariche importanti, Presidente dell'Istituto Fondiario Beni Stabili, Presidente delle Industrie Petrolifere e Chimiche, Presidente Fondiaria Mobiliare e Immobiliare, consigliere di amministrazione di numerose società tra cui la Edison,la Montedison, la Falk.
Questo aspetto, carriere prestigiose del fascismo che continuano ad affermarsi anche dopo il 1945 con la repubblica democratica, è una caratteristica che il lavoro di Rossi chiarisce ampiamente: dirigenti industriali, politici, economisti, giuristi presenti nell'età liberale in posizioni di rilievo, continuano ad avere una presenza attiva nell'establishment della dittatura ed ancora, nei limiti della loro età anagrafica, con un ruolo di primo piano nelle Università come nelle Industrie, nelle Banche o nei Ministeri come responsabili della "nuova politica economica" repubblicana.
Una dimostrazione pratica di come le "regole essenziali" che hanno caratterizzato l'evoluzione del capitale, della finanza e l'economia nell'età liberale ha convissuto pacificamente con il fascismo prima e con la democrazia dopo. Il sapere della cultura dominante ha percorso l'evoluzione delle forme politiche modulando il proprio intervento senza per questo perdere potere ed efficacia nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Un altro testo studiato da Rossi è "Dal taccuino di un borghese" (ed. del 1946 e del 1986 con il Mulino) di Ettore Conti, imprenditore, Alto Commissario armi e munizioni e aeronautiche nel 1919-1920, Senatore del Regno presidente della Confindustria dal 1918 al 1922, direttore della Banca Commerciale dal 1930 al 1945, consigliere Assicurazioni Generali, della Montecatini, direttore tecnico amministrativo della Edison, nella sua persona l'intreccio economico imprenditoriale, finanziario, politico e diplomatico che nel ventennio ha contribuito e sostenuto le politiche del regime.
Ernesto Rossi non è un marxista, ha come punto di riferimento l'economia anglosassone, per questo la sua opera vuole essere in primo luogo una denuncia, non moralistica ma politica, del pericolo che uno Stato corre quando si avvia un processo di concentrazione in poche mani del potere economico , mani che finanziano partiti e stampa, corrompendo politici ed alti burocrati e facendo leva su sentimenti nazionalistici. Ma vuole anche offrire elementi concreti per fare un bilancio dell'eredità del ventennio, dove "I Grandi Baroni" hanno rafforzato e conservato i loro patrimoni, hanno aumentato la loro influenza nelle scelte politiche economiche, hanno collocato uomini di fiducia nella Pubblica Amministrazione, mentre le gerarchie ecclesiastiche a partire dai Patti Lateranensi hanno accresciuto patrimoni e privilegi. E' interessante l'attenzione nei confronti della Pubblica Amministrazione dedicata dall'autore soprattutto sulla grande trasformazione che avviene dal 1922 in poi e che vede la presenza nei più alti gradi della burocrazia di funzionari incapaci e corrotti che hanno fatto carriera solo per la "sicura fede".
In una "combinazione" norme-burocrazie, dove leggi appropriate che restringevano la potenzialità economica di nuove imprese (es. RDL del 1926 n.413, che regolava la disciplina delle spa e RDL del 1927 n. 2107, che prescriveva l'obbligo per i centri urbani con più di centomila abitanti di aprire nuovi impianti industriali con più di cento operai solo dopo il preventivo permesso del Ministero dell'Economia) e dirigenti ministeriali, asserviti alla Confindustria riuscivano a cristallizzare l'economia del paese assicurando la formazione dei monopoli . Il Sindacato degli industriali attraverso i veti burocratici e l'ampio impianto normativo che il fascismo era riuscito a varare potevano così far quadrato nei confronti di eventuali concorrenti.
In una lettera al proprio editore, Rossi scriveva:"Giacchè facciamo questo lavoro, cerchiamo di farlo bene, in modo che possa veramente servire come raccolta e prima elaborazione di documenti allo storico del futuro", questa "prima elaborazione" di Rossi per lo storico futuro ricopre ancora un ruolo fondamentale nella ricostruzione economica politica della salita al potere del fascismo, del regime e del dopoguerra, perché ancora vi sono nel campo della ricerca numerose lacune da colmare, a partire dai nodi posti da Rossi prendiamo ad esempio il sodalizio che sin dall'inizio si attua fra la Confindustria e i fascisti:
Il fascismo garantisce già da subito insieme alle figure politiche conservatrici alcuni desiderata dei padroni del vapore. Infatti se ci soffermiamo sulle prime decisioni prese dal governo fasciste, non possiamo dimenticare che il 14 novembre del 1922, il consiglio su proposta di Mussolini approva un disegno di legge che di fatto chiude i lavori della "Commissione di inchiesta sulla guerra" istituita nel 1920 da Giolitti che era composta da 15 deputati e da 15 senatori. La Commissione doveva accertare oneri finanziari a carico dello Stato per le spese di guerra, procedere alla revisione delle commesse delle indennità, individuare ogni responsabilità morale, giuridica, amministrativa, politica; recuperare all'erario ciò che risultasse doversi recuperare cioè una parte considerevole "dei lucri indebiti od eccessivi". Nonostante l'ostruzionismo dei fornitori di materiale bellico e dei complici ministeriali la Commissione aveva fatto un ottimo lavoro decidendo il recupero di circa 320 milioni di lire dell'epoca come primo pacchetto di recupero, ovviamente la stampa "patriottica" respingeva l'accusa individuando nella Commissione un organo manovrato dai "rossi".
Eppure solo due anni prima Mussolini aveva tuonato sul "Popolo d'Italia" che sulle commesse di guerra dei "briganti che hanno perpetrato ruberie colossali. Noi crediamo che si possa recuperare centinaia e centinaia di milioni"(2/6/1920). Di fatto, in seguito Mussolini risarcisce la grande industria che gli ha spianato la strada del potere con l'affossamento di questo recupero, e sarà lo stesso "duce" ad ammetterlo il 19/7/1924 all'on. Begnasco che gli aveva presentato una commissione di operai fascisti di Torino (vedi "il Lavoro"): " Il Governo, attraverso il Ministero delle Finanze, ha favorito l'industria, fino a condonarle 300 milioni di lire di utili abusivi di guerra, ridotti ora a qualche decina di milioni che sono stati anche rateati in parecchi anni."
Fra i maggiori recuperi non avvenuti ci sono 46 milioni dell'Ansaldo ( i cui proprietari, i fratelli Perrone) avevano finanziato la marcia su Roma e 44 milioni dell'ILVA dove l'amministratore era Max Bondi.
Un altro benefit agli imprenditori da parte del nuovo regime fu il decreto del 29/11/1922 n.1478 che aveva abrogato la legge 474 che obbligava le società commerciali ad investire in titoli di Stato la terza parte delle loro riserve, il decreto fu firmato da Facta e pubblicato il 29/11/1922 ed ancora, il ddl del Tesoro e Finanza che abrogava la legge 24 del 1920 sulla obbligatorietà della conversione in nominativi dei titoli al portatore emessi dallo Stato, Provincia,Comuni e spa, legge voluta da Giolitti per bloccare l'evasione fiscale. Questa norma era fortemente osteggiata dai più grandi imprenditori se solo l'otto novembre del 1922 il Presidente della Confindustria, il Presidente della Lega degli industriali di Torino, Conti, Falk, Olivetti, Biancardi avevano chiesto la abolizione della nominatività estesa anche ai privati.
Non basta più per lo storico accertare la già documentata fase del finanziamento dei "Padroni del vapore" al movimento fascista, ma occorre indagare quanto abbia pesato per le scelte economiche e politiche del ventennio questo pesante rapporto fra la Confindustria e il ceto dirigente in camicia nera.
A dimostrare quanto, per puro tornaconto, il governo fascista fosse a conoscenza ed avesse accettato l'impianto invischiato che il padronato della Confindustria aveva costruito a suo totale beneficio è chiarito dalla presa di posizione di Mussolini del 1943 quando era a capo della Repubblica di Salò dopo aver "registrato" l'abbandono del sostegno al suo governo da parte di alcuni grandi imprenditori. Giuseppe Dolfin, segretario di Mussolini, inviò un dossier , nel dicembre del 1943, al capo della polizia:"D'ordine del Duce ti trasmetto l'accluso fascicolo che documenta attraverso quali sistemi di corruzione determinati noti industriali, fra i quali Volpi, Donegani ed altri, immobilizzassero ogni libertà d'azione sia di dirigenti sindacali che di alti funzionari dello Stato che venivano loro legati attraverso integrazioni vere e proprie di stipendi. E' desiderio Superiore [di Mussolini ] che venga compiuta una rigorosa inchiesta atta ad individuare le singole responsabilità che vanno perseguite a norma di legge. Una parte di questi industriali sono indiziati attualmente come finanziatori di partigiani".( Archivio Centrale dello Stato,Segreteria particolare del duce, carteggio riservato RSI, b.16,f. Volpi)
Come bene osserva Mimmo Franzinelli nella presentazione del libro di Rossi, " le notizie raccolte dai capi della Repubblica Sociale Italiana rivelano retrospettivamente l'esistenza di un collaudato sistemi di tangenti versate dalla Confindustria ad alti funzionari dello Stato".
Ci sono un altro paio di considerazioni che suscita il lavoro dell'autore, la prima riguarda le teorie corporative che sono presenti nel mondo accademico cattolico, già da molto tempo prima del fascismo. Le organizzazioni elefantiache legate al Ministero delle Corporazioni prive di reali risultati soddisfacenti, lasceranno il loro segno nella Pubblica Amministrazione anche dopo il 1945 , ed ancor di più l'impianto civilistico e penale dei codici preparati da Rocco ed i suoi collaboratori, che altro non sono che una summa appartenente alla cultura reazionaria del pensiero giuridico. La Repubblica italiana sorta dopo il fascismo, come mai ha mantenuto quell'impianto composto dai codici che hanno regolamentato ancora per decenni la vita democratica del paese?
L'immagine che ci hanno dato di Mussolini le analisi di storici, i numerosi documentari trasmessi in TV, i reportage giornalistici , tranne in pochi casi, sorvolano sulla economia e sull'influenza che questa ha avuto sulle decisioni politiche del ventennio, sulle reali condizioni sociali delle classi inferiori, ma "esaltano" più o meno "l'originalità" e lo spessore politico del movimento. Senza nulla togliere all'importanza di fare ricerche storiche che individuino le diversità e che specifichino in maniera documentata le vicende del passato, sarebbe interessante rivisitare i discorsi e gli articoli di Mussolini, in qualità di massimo esponente fascista, contestualizzandoli con quello che "realmente" è accaduto. Sotto lo smalto del decisionismo austero, pieno di ferme prese di posizioni e di disegni ben ponderati, forse scopriremmo un altro duce: un abile imbonitore e mediatore, ossequioso dei poteri forti, che ricatta e modifica le posizioni in poco tempo per seguire una propria sensibilità politica ed al tempo stesso un "capo" che ha la capacità di costruire attorno alla propria figura pubblica un'immagine irreale che suggestiona.
La freschezza e l'attualità dell'opera di Ernesto Rossi, antifascista, al confino con i migliori intellettuali, amico di Salvemini e Rosselli e grande giornalista e scrittore, sta nella capacità di indagare il passato senza farsi fuorviare dai pappagalli, come annota in una sua lettera, a lui interessava individuare e rilevare le malefatte del padrone del pappagallo.
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