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giovedì 5 dicembre 2013

Sulla tragedia operaia pratese

Riportiamo integralmente il post pubblicato su Zone Libere in merito alla recente tragedia operaia che ha colpito la comunità cinese locale di Prato

Sul post di Zone Libere link ad alcune tematiche di approfondimento.

Chi difenderà i lavoratori di un domani sempre più digitale?
Tech & New Media
Giovedì 05 Dicembre 2013


frammenti e trame di autonomia digitaleLa tragedia degli operai cinesi di Prato svela l'inadeguatezza della politica nel gestire i diritti degli operai di un modello produttivo legato al passato, figuriamoci di quelli legati a un futuro digitale sempre più prossimo...
A Prato prima di essere 4mila su 6mila le aziende tessili a conduzione cinese c'è stato un tempo che sono state 4 poi qualche decina poi qualche centinaio: c'è da domandarsi allora seriamente chi sono stati i funzionari che si sono arricchiti facendo crescere una economia sommersa rilevantissima - oltre a quelli già scoperti in passato - secondo un modello di sviluppo che ha schiacciato i diritti dei lavoratori in maniera impressionante. Dove era la politica? Dove erano i sindacati? Perchè un sindacato che non si preoccupa dei diritti di un operaio in quanto NON italiano è oggettivamente razzista ma anche connivente con una economia nera che evadendo somme enormi ha impoverito di fatto la società tutta pratese. E' giusto parlare di lacrime di coccodrillo per la tragedia operaia pratese ma non basta perchè questa è una tragedia enorme non solo per il numero dei morti ma per i tratti simbolici che devono far riflettere: se la memoria collettiva ha un senso allora è bene ricordare che qualcuno (sindacati - amministratori - politici) ci ha fatto ripiombare nell'Ottocento se è vero che l'8 marzo è la festa delle donne per ricordare le operaie morte bruciate vive alla stessa maniera degli operai di un giorno del 2013 chiuse a chiave nella loro fabbirca! Quando presentammo Mela Marcia a Prato denunciando le condizioni lavorative degli operai di Foxconn e ci domandavamo pubblicamente in quel di Viaccia se le condizioni operarie cinesi non fossero state troppo pericolosamente simili a quelle di tanti capannoni gestiti da cinesi a Prato non trovammo purtroppo nessuna sponda o referente del sindacato a seguirci in questi ragionamenti.
Ma se il sindacato non è in grado di difendere i diritti degli operai tessili che strumenti teorici e pratici può avere a disposizione per interpretare il nuovo che avanza? Allora forse non è un caso che non riesca ad affermarsi in alcune situazioni di fabbrica emergenti come Amazon Italia o che non riesca a interlocuire con nessuna delle nuove forme di lavoro del digitale (precari, partite iva, eccetera) isolandosi nel proprio recinto di riferimento sociale costituito da pensionati, qualche settore del publbico impiego e poco più... Eppure di questioni nuove da affrontare ce ne sarebbero eccome a cominciare dalla minaccia dell'infame Foxconn di sostituire gli oramai operai scomodi di molte fabbriche con robot subito imitata da settori della intellighenzia americana che ipotizzano di sostituire le lavoratrici sempre più insofferenti dei fast-food MacDonald's con ubbidienti ed efficienti robot.

Ferry Byte che l'autonomia di classe tornerà ad essere un concetto di moda?

2 commenti:

  1. PROBLEMINI..
    Foxconn o altri realizzano la fabbrica robottizzata e licenziano in tronco (nel primo caso) un milione e mezzo di dipendenti
    Ma poi i senza-lavoro chi li mantiene?
    E se non li mantieni quelli che fanno?
    E i prodotti della Foxconn chi li compra?
    E se le merci non trovano acquirenti come si realizza il profitto?
    La soluzione obbligatoria ??
    Produrre tutto quello che per davvero ci serve magari in fabbriche robottizzate (il che come si vede è possibilissimo) e redistribuzione dei beni comuni a vantaggio di tutti..
    Siamo allla fine del modo di produzione capitalistico.

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  2. Non sarei così ottimista come Marcello,il capitalismo è stato capace di trasformazioni gigantesche della propria struttura. Aggiungerei una notazione: il vero problema è come trovare la chiave per un nuovo internazionalismo,cioè per cercare di riunire i miliardi di sfruttati,manipolati,schiavizzati che fanno da forza lavoro, i clienti privi di qualsiasi identità che non sia quella del consumo brutale. Forse dovremmo anche noi cominciare a aprire il nostro orizzonte,partendo eventualmente dall'Europa e perchè no anche dall'Italia dove centinaia di migliaia di nuovi schiavi sono impiegati in agricoltura,nei servizi, in certe produzioni particolarmente nocive e/o pericolose.

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